Un’oasi sulle ceneri della Guerra Fredda ecco il paradiso naturale del 38° parallelo

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PECHINO.  Per gli esseri umani il 38° parallelo, che dal 1953 divide il Nord e il Sud Corea, è l’ultimo incubo della Guerra Fredda. Per il resto della natura, dagli animali alle piante, sessant’anni di conflitti minacciatisonoinveceun’oasidi pace. Molto più di un’oasi: il relitto di una riconciliazione sempre rinviata, simbolo del Novecento incompiuto dell’Asia, si è trasformato in uno straordinario parco naturale, lungo la striscia di 248 chilometri che continua a dividere i post- comunismi dell’Oriente dal capitalismo dell’Occidente.
Capi di Stato e generali delle forze armate la chiamano curiosamente “Dmz”, zona demilitarizzata, sapendo che è al contrario una delle frontiere più esplosive del pianeta. I biologi la considerano invece una biosfera eccezionale, rifugio e culla per specie in via di estinzione, o ancora ignote. Sono i paradossi della storia: dove le tragedie sfrattano gli uomini, fiorisce tutto il resto. E’ accaduto perfino a Chernobyl, teatro del più grave incidente atomico. Da oltre venticinque anni l’area attorno all’ex centrale, tra Ucraina e Bielorussia, è interdetta agli abitanti. Tra i posti di blocco e i reattori sepolti sotto un sarcofago di cemento, è nato uno degli ecosistemi meglio conservati dell’Europa.
Anche sul confine che divide Seul da Pyongyang, protetto da filo spinato, trincee, mine, arsenali e caserme, gli scienziati sono convinti che sei decenni di abbandono abbiano dato vita all’archivio della natura più ricco del pianeta. Forte al punto che un caso biologico promette di tradursi in un evento politico. I ricercatori della Corea del Sud, che da dieci anni una volta alla settimana possono accedere alla terra di nessuno per ragioni di studio, hanno candidato i 298 mila ettari della “Riserva Dmz” a diventare patrimonio dell’Unesco. Manca ancora il via libera della Corea del Nord, impegnata in una delicata successione interna al regime, che dispone di metà  del territorio. Ma in attesa che gli equilibri del mondo, ieri tra Usa e Urss, oggi tra Usa e Cina, accettino di rimuovere anche l’ultimo Muro del Novecento, potrebbero essere alberi, laghi e animali a riunire un popolo separato dagli antagonismi altrui.
Il 38° parallelo potrebbe diventare presto un parco naturale comune, amministrato insieme da Seul e da Pyongyang, candidandosi a primo habitat disabitato capace di superare le incomprensioni di poteri contrapposti. Proprio il clima di guerra, nel nome dell’ecologia e della scienza, contribuirebbe così ad appianare i conflitti. «Una regione immensa — ha spiegato al quotidiano spagnolo El Pais Kim Seung-ho, fondatore dell’Istituto diricercadella“Dmz”—èstataforzatamente sottratta allo sviluppo e allo sfruttamento umano. In Asia è un caso unico, oggi quasi un miracolo per l’intera umanità . Si può ripartire da questo patrimonio di natura intatta, sospeso tra due mondi divisi, per riprendere altri dialoghi interrotti».
Ambasciatori di pace sarebbero mammiferi, uccelli, alberi e fiori che hanno scelto proprio un luogo ostaggio della guerra per rifugiarsi, oltre che dalla penisola coreana, da Cina, Russia, Giappone, Mongolia, India e Australia. Dentro la zona demilitarizzata, in dieci anni, gli scienziati hanno catalogato oltre 2700 specie, 67 delle quali ormai endemiche. Un paradiso per anfibi e serpenti, tigri e leopardi, cicogne e grolle siberiane in fuga dai veleni delle industrie e dalla cementificazione. «In Corea — ha spiegato il biologo Shing Yuseung ad un gruppo di giornalisti ammessi per la prima volta nella “Dzm” — ci sono molti parchi nazionali. Il loro obiettivo però è il turismo. Nessuno è conservato per la vita in sé, come la terra di questa frontiera inaccessibile».
Salvaguardia bellica preterintenzionale, forse la sola chance che l’impetuoso sviluppo dell’Asia poteva concedere all’ambiente. Unesco e scienziati di ogni continente premono così sul “Giovane Leader” del Nord, come si fa chiamare Kim Jong-un, per dare vita ad una “zona internazionale protetta”, capace di resistere sia alle continue minacce di guerra che ad un auspicabile processo di pace. Per il mondo degli uomini, il crollo dell’ultimo Muro sarebbe un segno di speranza. Per gli altri viventi, senza un’oasi “Dzm”, certamente no.


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