“L’AUTOBIOGRAFIA CI SALVA DALLE TRAGEDIE DELLA STORIA”

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È stato paragonato alle opere di Musil, Proust, Joyce, Mann. E Susan Sontag lo ha definito «il più grande romanzo dei nostri tempi». Certo è che con il suo monumentale Libro di memorie (11 anni di lavoro confluiti nell’86 in una prima versione censurata dal regime) l’ungherese Péter Nà¡das (nato a Budapest nel ’42) realizza un’impresa speciale: traghetta il flusso di coscienza tanto abitato dalla narrativa occidentale nella letteratura dell’universo socialista, aprendoci una finestra inedita sull’umanità  dell’Est Europa negli anni della cortina di ferro. Un gesto che Nà¡das realizza con generosità  turbinosa, con un’attenzione ipnotica al dettaglio, ai segnali emotivi e corporei, alle pulsioni più profonde, mimando i movimenti della memoria che quasi ci ubriacano e ci perdono.
Arditamente Nà¡das tesse tre fili narrativi che si rincorrono capitolo dopo capitolo con regolarità , secondo uno schema ABC, ABC… con qualche sorpresa. La vicenda più importante è quella di un giovane scrittore ungherese che ricorda un soggiorno di studio nella cupa Berlino Est negli anni ’70, mentre vive un triangolo amoroso con Thea, attrice matura, e Melchior, un giovane poeta a sua volta amante della donna. Ancor più oppressivo, a tratti, è naturalmente il clima in cui si snoda la seconda storia che rievoca l’adolescenza del protagonista figlio di una coppia di funzionari comunisti privilegiati, la sua educazione sentimentale e sessuale (con le ragazze e il bellissimo Krisztian) negli anni della rivolta ungherese del ’56. Parallelamente, il terzo filone: stralci del romanzo scritto dal personaggio principale su uno scrittore tedesco di fine ‘800, Thomas Thoenissen, una sorta di alter ego dalla sensualità  esasperata. 768 pagine (Dalai, trad. Laura Sgarioto, euro 24), un vortice illuminante di pensieri che ricorrono e si accavallano come avviene nella mente, di episodi relativi alla vita amorosa, famigliare, al regime e alle sue bugie, ai suoi tradimenti.
Perché questa scelta, questo schema ABC che si ripete e che sembra sfidare il lettore e i canoni narrativi?
«Ho intrecciato tre fili narrativi mettendo in relazione tre aspetti. Ma non in una ripetizione continua. La ripetizione eterna, o l’eterno ritorno, come in Nietzsche, è bella, ma può divenire meccanica, noiosa, minacciosa. Quando il lettore, alla fine del libro, si aspetta la reiterazione, si profila in modo inatteso una nuova figura con la propria versione dei fatti che mette in discussione tutte le certezze precedenti. D’improvviso, dopo la sequenza ABC, abbiamo una D, e infine addirittura una E. Noi tutti desideriamo l’armonia, ma la natura del mondo è disarmonica».
L’hanno paragonata a Musil, Joyce, Mann, Proust. Si riconosce in qualcuno di questi accostamenti? Potrebbe essere il flusso continuo di coscienza ad accomunarvi?
«Autori importanti, formidabili, che ho letto e amato. I paragoni sono molto lusinghieri, ma sbagliati. Persino loro hanno poco a che vedere l’uno con l’altro. In quanto al flusso infinito della memoria, è finzione letteraria. Si ricorda o non si ricorda, si deformano o si falsificano le percezioni a seconda dello stato d’animo, contemporaneamente. Mi interessano più queste magnifiche attività  parallele che le finzioni dei miei stimati colleghi».
Due delle storie si svolgono nel periodo staliniano e post staliniano. La terza su un personaggio di fine ‘800. Cosa c’era in quest’ultimo periodo che la coinvolgeva?
«Thoenissen nel romanzo si chiama Thomas, ma avrebbe potuto chiamarsi Marcel. Non si tratta però parodisticamente di Mann o Proust, piuttosto delle costrizioni sociali che li costrinsero a tacere o a deformare certe situazioni, a ricorrere a bugie ridicole specie sul piano dell’erotismo. Volevo esaminare il modo in cui, in una certa epoca le finzioni, si rapportano alla realtà ».
Quanto c’è di autobiografico nel libro?
«Non esistono romanzi degni di nota che non siano autobiografici. Parto dalle mie esperienze o fantasie e a queste ritorno. Con l’immedesimazione e l’empatia posso però far mie qualità  estranee e diventare un perfetto sconosciuto. Non devo uccidere per sapere cosa vuol dire uccidere. Ecco, tramite l’empatia, tutto ciò che si trova in un romanzo è autobiografia».
Il sesso, la bisessualità , il desiderio, il piacere nel romanzo occupano un posto centrale. Niente è lasciato all’immaginazione. Perché?
«La sessualità  non esiste, perciò non può avere un ruolo centrale. Come sappiamo da Foucault, è un concetto moderno, elaborato dalla buon costume del 19esimo secolo, in nome del quale esseri innocenti sono costretti fin da tenera età  a scegliere tra azioni lecite o illecite, come fossero prestabilite dalla creazione. Non è così. Abbiamo un sesso, l’uomo ha tuttavia una natura ibrida, siamo insieme maschili e femminili. L’erotismo ci è dato dalla nascita: è un campo energetico enorme, con cui attraversiamo la vita. E per questo è degno di essere compreso a livello letterario».
Quanto l’hanno condizionata la cupezza, il regime di falsità  del comunismo?
«Anche il comunismo non esisteva. Sono nato sotto la dittatura di veri fascisti e cresciuto sotto quella dei falsi comunisti. I miei genitori ad esempio erano dei veri comunisti che per la falsità  del comunismo sono caduti in rovina. Come potrei non esser stato condizionato? Il totalitarismo si insinua sempre nell’intimo. Ma ho vissuto una meravigliosa trasformazione temporale e una grandiosa carriera spirituale».


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