Nubi artificiali e alghe antiCO2 la sfida degli scienziati-stregoni

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Lo chiamano il “piano B” per salvare il pianeta dal riscaldamento. Se ridurre le emissioni di gas serra è un obiettivo che nessun Paese riesce a centrare, si cercano allora strade alternative per riparare il termostato rotto del pianeta. L’estate degli eccessi – dalla siccità  agli uragani – ha reso la necessità  più impellente. Grandi finanziatori come Bill Gates e Sir Richard Branson hanno già  staccato i primi assegni mentre scienza e tecnologia cercano di dispiegare le loro armi per rinfrescare la Terra con metodi avveniristici: ricoprendo i mari di nuvole artificiali per riflettere i raggi del sole, fecondando gli oceani per far proliferare le alghe, catturando la CO2 dalle centrali a carbone per poi sospingerla nel sottosuolo, realizzando “alberi artificiali” che risucchino i gas nocivi dall’aria o perfino – nel più ambizioso e lontano nel tempo fra i progetti suggeriti – piazzando in orbita specchi che respingano il calore solare. A maggio un progetto finanziato dal governo inglese per riempire il cielo di particelle di solfati era stato fermato mentre era ai nastri di partenza per un pretesto relativo ai brevetti. A suggerire l’idea era stata l’eruzione del vulcano Pinatubo, che nel 1991 riversò 20 milioni di tonnellate di solfati a 20 chilometri d’altezza. Lo strato di ceneri schermò per tre anni la terra dalle radiazioni solari, riuscendo ad abbassare la temperatura. La versione inglese, che prevedeva l’uso di una mongolfiera al posto del vulcano, verrà  riproposta la prossima primavera. A luglio invece un esperimento di “fecondazione” del mare è stato portato a termine con successo dai tedeschi dell’Istituto Wegener. In un tratto di oceano di 60 chilometri vicino all’Antartide, una nave ha versato ferro per nutrire le alghe in superficie. Questi organismi hanno cominciato a proliferare, consumando CO2 a ritmi battenti attraverso la fotosintesi clorofilliana. Alla fine del loro ciclo vitale, sono precipitati sul fondo del mare a 4 chilometri di profondità  portando con sé il carico di anidride carbonica. I primi prototipi di alberi artificiali (non lontani all’apparenza dai pannelli solari) sono già  stati costruiti: usano particolari sostanze chimiche per filtrare la CO2 dall’aria. Alcune centrali a carbone, infine, che catturano l’anidride carbonica prodotta nella combustione e la rendono liquida per poi stoccarla sottoterra sono già  attivi in Europa del nord. Ma i costi di questa tecnologia ribattezzata del “carbone bianco” sono ancora troppo alti per consentirne la diffusione. Contro la scelta di investire su un futuristico “piano B” anziché impegnarsi nel più logico “piano A” ridurre le emissioni di gas serra – sono schierati tutti i movimenti ambientalisti. Che fanno notare come riflettere i raggi solari attraverso nuvole artificiali o specchi spaziali potrà  forse un giorno alleviare i sintomi della febbre del pianeta. Ma non ne rimuove le cause, né risolve problemi associati a un eccesso di CO2 come l’acidificazione degli oceani. Sul fronte delle emissioni di gas serra, d’altra parte, le notizie restano orientate al pessimismo. Nel 2011 si è registrato un nuovo record, con l’aumento della produzione di anidride carbonica del 3% rispetto all’anno precedente. Il calo dei paesi occidentali provocato dalla crisi economica (meno 2,5% di media) è stato più che bilanciato dal possente aumento di emissioni da parte della Cina (più 9%). Con la fiducia nel “piano A” ridotta al minimo, si sono moltiplicati in questi mesi roventi i piani di fattibilità  delle nuvole artificiali, la cui coltre bianca aumenterebbe la riflessione dei raggi solari. Uno studio dettagliato è stato pubblicato una settimana fa su Transactions of the Royal Society, a firma di un gruppo di fisici dell’università  di Washington. Per aumentare la densità  delle nubi sugli oceani (in mare l’ombreggiatura creerebbe meno disagi rispetto alla terra) andrebbero prese dieci navi, che procederebbero affiancate a 10 km di distanza. Ogni nave sarebbe munita di una serie di ciminiere capaci di spruzzare minuscole goccioline di acqua salata fino a 250 metri di altezza. Attorno ai grani di sale si condenserebbe il vapore acqueo dell’aria e in poco tempo, secondo lo studio, il tratto di mare percorso dalle navi si coprirebbe di nuvole candide e fresche. Una coltre di nubi normalmente respinge il 50% della luce che lo investe. Dopo questo trattamento la riflettività  salirebbe al 60%. Secondo un rapporto pubblicato oggi su Environmental Research Letters,un’iniziativa simile costerebbe circa 5 miliardi di dollari all’anno: una piccola quota rispetto ai 200 spesi attualmente per contrastare le emissioni di CO2. Ma lo stop improvviso del progetto britannico di maggio (che prevedeva l’uso di un pallone aerostatico trainato da una nave con un cavo di 25 chilometri simile a un guinzaglio) è sintomo di quanto enormi siano ancora le difficoltà  tecniche da superare. Per frenare il riscaldamento climatico non resta che sperare in un “piano C” ancora più avveniristico: quello capace di convincerci a inquinare di meno.


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