Quella poetica rurale sui miti della nascita

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E ancora, sempre a Craco: «L’acqua che è servita per il primo bagno viene sparsa per terra in casa, se è nata una femminuccia, perché questa deve affezionarsi alla casa; viene gettata per strada, se è nato un maschietto, perché questi deve correre per il mondo». Giovan Battista Bronzini è stato senza dubbio tra i più interessanti studiosi e antropologi della sua terra, la Basilicata. Così come rimane l’autore di due fondamentali studi di antropologia letteraria su artisti che la Lucania l’hanno attraversata e mitizzata con i loro scritti (parliamo dei puntigliosi saggi Il viaggio antropologico di Carlo Levi e L’universo contadino e l’immaginario poetico di Rocco Scotellaro). Schierato su fronti diversi dalle perlustrazioni dell’antropologia messa in moto negli Anni Cinquanta del secolo scorso da Ernesto De Martino, Diego Carpitella, e altri, Bronzini era un narratore impagabile dei racconti della civiltà  contadina in studi che hanno percorso, quasi anticipazione di innesto tra cultura alta e bassa, le strade della Lucania; e resta memorabile, tra gli altri, il suo studio sul Maggio di Accettura. Ora l’editore Congedo ripubblica un suo classico del 1964 Vita tradizionale in Basilicata (pp. 520, euro 28,50) e se ne consiglia la lettura, per molti aspetti commovente, su infinite tradizioni e loro varietà  da zona a zona in un viaggio che non può che far rimpiangere la narrazione antropologica dei decenni trascorsi. «Iniziai l’inchiesta – raccontò Bronzini negli Anni Sessanta – nel 1948; l’ho proseguita ininterrottamente fino al 1961 (e, per il fine che si propone e per la natura stessa dell’oggetto, non può considerarsi ancora chiusa), man mano intensificandola, ampliandola e approfondendola, con l’intento di scoprire, al di là  degli elementi strettamente folklorici, nessi e legami di ordine sociale e psicologico e di procurarmi, nelle indagini indirette, più che notizie generiche (delle quali inevitabilmente sovrabbondano i questionari), dettagli e particolari, la cui importanza è perlomeno pari a quella delle varianti e innovazioni nel settore delle tradizioni soggettive». La lettura di questi racconti su miti e riti della nascita, dell’infanzia, dell’adolescenza, del fidanzamento, del matrimonio, della morte è sempre molto piacevole. Anche se talvolta nel lettore può alimentare la nostalgia, quasi che l’indagine di oggi sia prigioniera dell’impossibilità  di fare antropologia (mutuando la nefasta e ridicola ideologia della «fine della storia»?), quando invece proprio in un periodo del tutto bloccato come l’attuale torna prepotente il desiderio di scavare tra i modi di vivere delle persone. Il libro di Bronzini, con apparato fotografico e un glossario di termini quanto mai utile (a dimostrazione di un rispetto più forte verso il lettore che c’era allora), ci dice semmai che l’indagine sui costumi non solo non muore ma si rinnova ad ogni epoca storica. Se ce l’ha davvero la capacità  di rinnovamento, naturalmente.


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