L’EDITOR PRO-BREIVIK IMBARAZZA GALLIMARD

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Oltre a questo è uno scrittore capace, che maneggia con grande abilità  ed eleganza la lingua francese. I suoi romanzi e scritti di altro genere non hanno incontrato un grande successo. Diciamo che non ha il riconoscimento che pensa di meritarsi. Probabilmente ne soffre. È un uomo affascinante, colto, educato, che parla a voce bassa. Ogni volta che ci siamo incontrati mi ha parlato in arabo, lingua che conosce grazie all’infanzia trascorsa in Libano. Un giorno, alla radio, lo sento dire questo: «Quando salgo in metro, mi sento in apartheid; non mi sento a casa mia»; aggiunge qualche parola insultante per gli arabi e i musulmani dicendo: «Gli arabi li conosco bene: li ho combattuti a fianco dei falangisti in Libano».
Rimango sbalordito. E scopro che ha scritto cose molte peggiori, cose che scavalcano a destra perfino il Fronte nazionale. Ecco che ora pubblica un testo con un titolo allucinante: Elogio letterario di Anders Breivik.
L’ho letto. Non condanna i crimini di quest’uomo, ma prudentemente scrive: «Non approvo i crimini commessi da Breivik il 22 luglio 2011». Non approva, però trova in quella tragedia «una perfezione formale».
Poi passa a spiegare. Cito le sue parole: «Le nazioni europee si sfaldano, la loro essenza cristiana si perde a vantaggio del relativismo generale e del multiculturalismo […] Breivik è figlio della frattura ideologicorazziale che l’immigrazione extraeuropea ha introdotto in Europa […] Queste azioni sono, nella migliore delle ipotesi, una manifestazione ridicola dell’istinto di sopravvivenza di una civiltà ».
Per Millet, la civiltà  “bianca”, cristiana, sta perdendo la sua identità  a causa dell’immigrazione. Parte in guerra contro l’antirazzismo e sostiene che le vittime del razzismo oggi in Europa sono i bianchi europei. Parla «di una guerra civile in corso in Europa», perché «l’Europa ha rinunciato ad affermare le sue radici cristiane». Millet cita, in epigrafe al suo libro, Drieu La Rochelle, scrittore francese che collaborò con i tedeschi durante l’occupazione e fu giustiziato alla fine della guerra. La parentela è chiara: Millet è alla ricerca della purezza della lingua e della civiltà  occidentale. La mescolanza delle culture e dei colori lo spaventa, sente che il suo Paese, la Francia, sta cambiando per effetto dell’apporto di tante culture e della loro ibridazione. Ritiene che la letteratura francese «parla spesso un francese approssimativo,
da negro ignorante, perché si terzomondizza »; in altre parole, il fatto che tanti scrittori vengano dall’Africa, dal Maghreb e dal mondo arabo e scrivano in francese contribuisce di per sé alla “decadenza” di questa letteratura.
Millet evidentemente soffre di narcisismo patologico. Vive una sorta di depressione perché i valori della “purezza cristiana” vengono contaminati da altre cose, altri immaginari, altri popoli. Conclude il suo saggio dicendo: «Breivik è quello che si merita la Norvegia e quello che attende le nostre società ». Fa venire i brividi. E Richard Millet non è un caso isolato. Questi discorsi sono comuni in certi ambienti dove è forte l’odio verso l’islam e il mondo arabo. Altri intellettuali condividono le sue idee, ma le formulano con più prudenza e in modo meno crudo. Esiste una corrente islamofobica, antipalestinese, antiaraba, anti-immigrati. Richard Millet oggi è al centro di una polemica. La domanda è: si può essere un bravo redattore editoriale e fare l’elogio “letterario” di Anders Breivik? Che cosa farà  il proprietario di Gallimard? Per il momento è in vacanza, ma appena rientrerà  dovrà  prendere una decisione: continuare ad avvalersi dei servizi di questo individuo o licenziarlo. La grande scrittrice Annie Ernaux è categorica: una reazione collettiva di tutti gli scrittori di Gallimard
è necessaria.


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