I trenta minatori a 373 metri sottoterra «Con noi l’esplosivo»

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CARBONIA — «Rimarremo quaggiù settimane, mesi: non si illudano, non molleremo. Nel 1995 siamo stati in galleria cento giorni. Di promesse ne abbiamo sentite fin troppe. Risaliremo quando ci avranno dato risposte». La gabbia (così chiamano un ascensore aperto con inferriate) scende veloce da quota +120 a bocca di miniera ai -373 della galleria occupata. A Nuraxi Figus di primo mattino un turno dà  il cambio all’altro, risalgono i 30 che hanno passato la prima notte sottoterra, altrettanti si calano giù. Dai caschi gialli spuntano lunghi capelli, scendono due donne e un’altra risale. Si abbracciano tutti. «Occupazione a oltranza» decide qualche ora dopo l’assemblea, non una sola voce di dissenso. «Ci siamo attrezzati per resistere. Ci alterneremo nella galleria, non più di otto ore ciascun turno. Non ci prenderanno per stanchezza».
Non è una miniera d’altri tempi l’ultima nella quale in Italia ancora si estrae carbone. Gallerie larghe e ben assettate con armature in ferro, grandi robot con «punteruoli» che graffiano rocce e filoni di minerale, un groviglio di tubazioni porta aria fresca dalle superficie e aspira il mix di gas e polvere. A 350 metri spunta anche un pick up per gli spostamenti più rapidi. Dalla cambusa della sala mensa arrivano cibo e bibite fresche. «Questo — sottolineano — è un impianto tecnologico e sicuro. Non si lavora da disperati come in Cina e in Africa».
Ma le facce di chi risale sono annerite dal carbone, che lascia i segni su magliette e tute. Facce scure, anche di rabbia: «Siamo pronti a tutto — scandisce Stefano Meletti, che coordina in superficie e fa da portavoce — anche a fare i matti». Non parla, Meletti, dell’esplosivo contenuto nella Santa Barbara, più di 300 chili e «custodito» da domenica dai minatori. Ma chi deve, capisca. Altri che scendono nei pozzi la buttano lì a muso duro: «Abbiamo esplosivo e detonatori. Non ci costringano a usarli».
Dei 463 impiegati nella miniera, i minatori sono 270, ma una parte lavora in superficie, quelli che vanno sottoterra sono meno di 200. Nuraxi Figus è della Carbosulcis, società  con un passato fra Enel e Eni e sigle varie delle partecipazioni statali, ora interamente posseduta dalla Regione Sarda. «Ma non accettiamo di essere definiti fannulloni, perché siamo dipendenti regionali — puntualizza sempre Meletti —. È vero che lo stipendio il 27 corre sicuro, ma da dicembre potremmo essere tutti alla fame».
C’è pochissimo tempo. «A dicembre scade il bando per la vendita della miniera e non ci sarà  una proroga — ricorda Enzo Costa, segretario regionale della Cgil — le risposte deve darle la politica, ma il governo non decide. Alcoa, Eurallumina, Nurazi Figus: il Sulcis sta esplodendo». Rincara Fabio Enne, Cisl: «Governo e Regione Sarda, finora solo chiacchiere».
Il progetto per la miniera di carbone si chiama CSS (Cattura e Sequestro del Carbone) e prevede investimenti per 1 miliardo e 600 milioni, 200 milioni l’anno per 8 anni, finanziamenti in buona parte dell’Unione Europea, che tuttavia chiede all’Italia di scegliere: o Nuraxi Figus o Porto Tolle (Rovigo). In Sardegna carbone pulito da utilizzare in una vicina centrale elettrica costruita dall’Enel e da destinare a Alcoa, Eurallumina e Glencore, industrie ora in crisi proprio per l’insostenibile costo dell’energia. «Il carbone estratto a Nuraxi Figus — questo è il punto decisivo secondo Mario Crò, Uil — può essere acquistato solo dall’Enel, che però spinge per utilizzare i fondi dell’Ue per riconvertire la centrale a olio combustibile di Porto Tolle». 
Ecco spiegati stallo e indecisioni del governo e della Regione, il cui presidente Cappellacci è stato ieri contestato per non essere andato a un incontro con minatori e amministratori del territorio. «Avrei preferito presentarmi venerdì al ministero delle attività  produttive a Roma con la miniera in produzione piuttosto che occupata — assicura l’assessore regionale all’Industria, Alessandra Zedda — comunque difenderemo fino in fondo il progetto».
Rabbia e disperazione anche fuori della miniera. «Oltre 5 mila cassintegrati, +6% di disoccupati in pochi mesi, caduta del 72% degli acquisti di beni strumentali: il Sulcis — l’allarme di Salvatore Cherchi, presidente della provincia — è una polveriera».
Cala la seconda notte sulla miniera occupata. A quota -373 c’è anche il deputato Mauro Pili: «Loro mi hanno chiesto di rimanere e ci resterò fino a che la Camera non affronterà  questo problema». Altri parlamentari sono in arrivo, un coro di solidarietà . Che i minatori mostrano di gradire poco: «Questa è una guerra, non la passerella di uno spettacolo. A difendere la miniera ci siamo noi, loro vadano a Roma: è lì che devono darsi da fare».


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