Respinto chi vuole aiutare i palestinesi

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Stamani si concluderà  presso la Corte distrettuale di Haifa il processo che vede di fronte lo Stato di Israele e Craig e Cindy Corrie, genitori dell’attivista americana Rachel Corrie. I giudici dovrebbero emettere il verdetto finale a quasi 10 anni dall’omicidio della giovane. Attiva nell’International Solidarity Movement, Rachel fu schiacciata il 16 marzo 2003 da un Caterpillar D9-R militare, guidato da un soldato israeliano, mentre si opponeva pacificamente alla demolizione di case palestinesi a Rafah, nella Striscia di Gaza. La sua tragica fine viene ancora oggi ricordata con cerimonie e commemorazioni pubbliche dai palestinesi. 
Secondo l’esercito israeliano, il conducente del bulldozer non avrebbe visto Rachel, fatto smentito da quattro testimoni oculari e da un’agghiacciante sequenza fotografica: la ragazza era ben visibile ai soldati intorno al bulldozer, tanto che hanno gridato ai manifestanti di spostarsi. La famiglia accusa lo Stato di Israele di essere responsabile dell’uccisione della giovane e di aver condotto un’indagine incompleta e poco credibile. 
E’ quanto pensa peraltro anche l’ambasciatore statunitense a Tel Aviv, Daniel Shapiro, che ha bollato il come una «farsa» tutto il procedimento. Secondo il diplomatico l’inchiesta e le indagini condotte dalla magistratura israeliana sono insoddisfacenti, non credibili e non trasparenti come avrebbero dovuto essere. 
Altri attivisti, quelli dell’iniziativa pacifista «Benvenuti in Palestina», due giorni fa si sono visti rifiutare dalle autorità  israeliane l’ingresso al valico di Allenby, tra la Cisgiordania palestinese occupata e la Giordania. Gli oltre 100 partecipanti avevano intenzione di andare a Betlemme. 
Un primo pullman di attivisti aveva superato i controlli di frontiera giordani. Ma di fronte alla dichiarata intenzione del gruppo di «voler visitare la Palestina», le autorità  israeliane hanno rifiutato l’ingresso a tutti. Subito dopo la polizia giordana che ha provveduto a chiudere la frontiera. 
Scopo dell’iniziativa, era quello di dimostrare che le autorità  israeliane negano il transito a chi dichiara di volersi recare nei Territori occupati anche solo per motivi di turismo o per iniziative umanitarie. Anche nei due precedenti tentativi di organizzare una missione simile, nel luglio 2011 e nell’aprile scorso gli attivisti erano stati respinti al loro arrivo all’aeroporto di Tel Aviv, o in gran parte rifiutati all’imbarco nei Paesi d’origine dalle compagnie aeree.


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