«Il contro in testa» dei cavatori di Massa e Carrara

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Così sono descritte le due città  toscane dal musicista, poeta, scrittore massese Marco Rovelli ne Il contro in testa (Laterza, pp. 145, euro 12), raccolta di racconti nati dai suoi incontri con gli operai che lavoravano nelle cave, ma anche atto d’amore sugli Apuani che fanno da paesaggio naturale ai due borghi anarchici, refrattari fra di loro, antifascisti ma neppure amici dei comunisti che «rubano» loro le canzoni riadattandole.
Le storie degli anarchici di Massa e di Carrara sono il vero sfondo e motore del libro di Rovelli, come quella di Gino Lucetti, l’anarchico a cui è dedicata la piazza in cui «le pecore ner» sfilano e si ritrovano per il primo maggio; l’anarchico a cui era stata dedicata quella piazza il cui nome è stato cambiato nei ruggenti anni Sessanta ripristinando l’antica denominazione toponomastica; l’anarchico che «attentò a Mussolini e che per un soffio lo mancò, in un tragico impeto di sfortuna: la bomba rimbalzò sulla macchina del “testa di morto”, esplodendo solo toccando terra e ferendo sei persone plaudenti».
Ce ne sono molte altre persone e fatti che la storia ha dimenticato, come i moti del gennaio 1894, conclusi con un un massacro e le condanne dei cavatori (454 condanne, più del 60% dei condannati erano cavatori) che fecero dire all’anarchico lunigianese Palla, trapiantato a Massa: «In Carrara anche le pietre sono anarchiche». «Ebbene questo anarchismo non poteva che spargersi come polvere di marmo su tutto il territorio circostante», scrive Rovelli. La stessa polvere di marmo di cui sono pieni i polmoni dei cavatori ; la stessa polvere che ha fatto sì che questa terra ha dato i natali a uomini come Gogliardo Fiaschi che ha visitato le carceri di Spagna e Italia: otto anni in ventotto prigioni della penisola Iberica dove, quattordicenne, faceva parte del battaglione Gino Lucetti. Altri nove li ha invece passati dietro sbarre italiane. Rovelli racconta anche l’errore madornale di José Seves, leader degli Inti-Illimani, a Carrara per un concerto. L’artista cileno arrivò in una città  piena di bandiere rosse e nere: ma non erano quelle anarchiche, ma quelle del Milan, la squadra che aveva vinto lo scudetto. 
Fra aneddoti, storie di cavatori all’osteria, non mancano le stilettate a Palmiro Togliatti, accusato per la mancata amnistia agli anarchici dopo la fine della seconda guerra mondiale e per quella concessa ai fascisti come Mario Roatta, «responsabile di immani crimini di guerra in Jugoslavia». 
Marco Rovelli racconta anche di altre lotte operaie, come quella alla Farmoplant, fabbrica di pesticidi, che nell’87 si vide piombare addosso un referendum consultivo che gli operai e la cittadinanza vinsero: quasi il 72% si espresse per la chiusura ma i gas asfissianti della fabbrica, che sembravano essersi interrotti grazie all’esito referendario, ripresero quando il Tar ordinò la riapertura constatandone la piena sicurezza. Quasi un anno dopo ci fu «l’incidente definitivo»: esplosero fusti di Rogor, il più nocivo tra i pesticidi «che la Farmoplant spacciava come il più puro dell’universo», tant’è che l’amministratore delegato ebbe a dire: «io col Rogor mi ci lavo la faccia». 
Lotte, beni comuni, antifascismo, lavoro, osteria, sangue nelle vene, monti Apuani, storie che si chiudono solo all’ultima pagina del libro Il contro in testa. Perché, come raccontano molti degli operai delle cave incontrati dall’autore «Nostra Patria è il mondo intero». E nostra legge è la libertà .


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