Associazioni di consumatori Stretta sui finanziamenti

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ROMA — Finora l’avevano scampata bella alla crisi. Le associazioni dei consumatori, nate sull’onda del movimento di Ralph Nader negli Usa nel ’70, e proliferate nel nostro Paese dal decennio successivo in poi, potrebbero conoscere un drastico ridimensionamento, in stile spending review.
Tutta colpa di un regolamento, cui sta lavorando il ministero dello Sviluppo economico, che completerà  il Codice del consumatore, e che richiederà  una stringente procedura di tracciabilità  degli iscritti di cui andranno ad esempio allegate le generalità  e i codici fiscali. Un modo per rendere più rigoroso l’iter che lega le attività  svolte ai finanziamenti pubblici. Oggi infatti per figurare nell’elenco del Cncu, il Consiglio nazionale dei consumatori, che è una sorta di patente di esistenza in vita, e dà  tra l’altro diritto ai finanziamenti per i progetti, servono almeno 30 mila iscritti.
Ora, anche se nessuno lo dice ufficialmente, sarebbe in atto una moral suasion da parte del ministero perché le associazioni si confederino, indirizzando i finanziamenti (residui) per i progetti a pochi anziché disperderli in mille rivoli. Anche qui siamo dunque a una forma di revisione della spesa. 
«Stiamo facendo un nuovo regolamento interno», conferma Giuseppe Tripoli, capo del Dipartimento per l’impresa e l’internazionalizzazione: «Non è una cosa contro le associazioni dei consumatori, tutt’altro. È un modo per aumentare la trasparenza». Si tratta di un meccanismo coerente con quello usato per le Camere di Commercio al cui interno siedono anche rappresentanti delle associazioni, che per dimostrare i requisiti devono consegnare tutta la documentazione. E si vuole garantire così anche i consumatori che aderiscono alle class action, in quanto i soggetti legittimati ad agire in forma collettiva sono proprio le associazioni dei consumatori rappresentative a livello nazionale. E quelle iscritte al Cncu lo sono di default
Uno schema di regolamento circola già  in via informale negli uffici delle associazioni. E i segretari delle stesse sanno che anche di questo si discuterà  nella prossima riunione del Cncu, il 12 settembre, con il sottosegretario Claudio De Vincenti.
Dal 2003 le associazioni dei consumatori hanno cominciato a contare su una parte delle multe incassate dall’Antitrust e dall’Autorità  per l’energia elettrica. Fino al 2007 ben 47,7 milioni per finanziare progetti di informazioni ai consumatori. Poi sono cominciate le ristrettezze e la finanziaria 2010 ha destinato quasi l’intera somma alla gestione delle emergenze. A maggio di due anni fa l’ultimo importo stanziato: 4,5 milioni per il finanziamento di «interventi diretti a facilitare l’esercizio dei diritti dei consumatori e la conoscenza delle opportunità  e degli strumenti di tutela». Le associazioni si sono consorziate in quattro gruppi intorno a altrettanti progetti: «Diogene. La lanterna del consumatore», finanziato con 1.013.704 euro, «Guarda che ti riguarda», per 1,2 milioni, come per «Informa-con», e «Check-up diritti» per i quali lo stanziamento è 988 mila euro. Circa 250 mila euro ad associazione. Sempre dai proventi delle multe, altri 13 milioni vengono destinati alle Regioni per i loro progetti per i consumatori, dagli sportelli alle brochure, molti dei quali sono attuati proprio in collaborazione con le associazioni. 
Ma se i fondi vengono stanziati a fronte dei progetti svolti, che c’entra il numero delle tessere? Ai progetti possono partecipare solo le associazioni del Cncu, secondo l’articolo 137 del Codice del consumo che richiede quale requisito per l’iscrizione nell’elenco, tenuto presso il ministero, un numero di iscritti «non inferiore allo 0,5 per mille della popolazione nazionale e una presenza sul territorio di almeno cinque regioni, con un numero di iscritti non inferiore allo 0,2 per mille degli abitanti». 
Il punto è: chi certifica gli iscritti? Per adesso esiste solo un’autocertificazione del rappresentante legale dell’associazione. E, inutile dirlo, qualcuno gioca al rialzo. «La Federconsumatori è la più rappresentativa — garantisce Rosario Trefiletti, che è d’accordo con i criteri più pressanti — abbiamo 160 mila iscritti. E i nostri sono veri, non come quelli che ne dichiarano 300 mila. La riduzione può avvenire se c’è un controllo sulle associazioni, se hanno sedi territoriali, se lavorano, se hanno iscritti o se sono tre quattro avvocati che si mettono assieme». Paolo Martinelli di Altroconsumo premette che «il proliferare delle associazioni è dovuto all’assenza di controlli». Quindi appoggia anche lei l’operazione? «Certo, non si può arrivare al punto che le associazioni nascano solo per avere quei 200 mila euro l’anno». 
«Quando ci sono di mezzo soldi pubblici bisogna essere trasparenti», dice Pietro Giordano di Adiconsum, e «se noi lo richiediamo a partiti e pubblica amministrazione, dobbiamo esserlo per primi». Possibile che nessuno dica una parola contro? «Beh, certo. Se ci sono meno associazioni…». Ecco: quelle che restano ci guadagnano.


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