“Sit-in, la nostra epopea” l’ultimo sogno di Luther King

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Aveva un sogno: rimasto più di mezzo secolo in soffitta. Il discorso è stato scovato da Stephen Tull tra le carte del padre nella casa di Chattanooga: “Intervista al Dr. King, 21 dicembre 1960” c’era scritto sul nastro realizzato per un libro che non si fece mai. Per gli storici è una scoperta eccezionale: tre anni prima di “I Have a Dream”, 8 anni prima che il sogno fosse ucciso a Memphis, il reverendo racconta i legami tra il movimento di liberazione in America e la sua Africa. E 50 anni prima che un nero salisse alla Casa Bianca profetizza: dobbiamo risolvere l’ingiustizia razziale se vogliamo restare leader nel mondo.
“Sono convinto che quando, un domani, si scriveranno i libri di storia, gli storici dovranno registrare il movimento dei sit in come una delle più grandi epopee della nostra tradizione. Io credo che questo movimento rappresenti la sua potenza ai livelli più alti di dignità  e di disciplina. Nessun uomo di buona volontà  potrebbe non essere d’accordo con gli scopi del movimento dei sit in: con l’obiettivo di abbattere tutte le barriere basate sulla razza o sul colore. Ma la cosa che più mi colpisce di questo movimento è il fatto che la gente abbia fatto propri i metodi sviluppati nel solco della più alta tradizione della non violenza e dei mezzi pacifici. E penso anzi che questa sia la cosa che rende questo movimento unico e lo renda uno dei più significativi sviluppi dell’intera lotta per l’emancipazione razziale.
Penso che una delle cose più interessanti è che non si tratti soltanto di un nobile movimento — con i suoi propri mezzi e i suoi propri fini: (penso che una delle cose più interessanti sia il fatto che questo movimento) sta ottenendo qualcosa di concreto. È per il risultato dei movimenti dei sit-in che in più di 112 città , oggi, è stato detto basta alla segregazione ai banconi dei ristoranti, negli stati di confine e negli stati del Sud. Insomma, abbiamo finalmente sotto gli occhi le conquiste tangibili ottenute garanzie a questo imponente e magnifico movimento, che ha trascinato gli uomini del Sud e ha elettrificato non solo la nostra nazione ma il mondo intero. (Un movimento) che cerca di ottenere un obiettivo morale, direi, attraverso mezzi morali. E tutto questo emerge dal pieno concetto
di amore: perché se una persona è davvero una persona non violenta allora vuol dire che è intrisa di spirito amorevole, (allora vuol dire) che rifiuta di fare del male al suo avversario perché ama il suo avversario. (Anche per questo) in Africa c’è grande interesse e preoccupazione per la situazione
negli Stati Uniti.
I leader africani in genere e la gente africana in particolare seguono con grande preoccupazione la nostra lotta — e conoscono bene quello che sta succedendo. Ho avuto l’opportunità  di parlare con la maggior parte dei leader più importanti dei paesi africani
che hanno appena acquisito l’indipendenza, ma anche con i leader dei paesi che sulla via dell’indipendenza si stanno incamminando adesso. E credo che tutti loro siano d’accordo sul fatto che gli Stati Uniti devono risolvere il problema dell’ingiustizia razziale se vogliono continuare a mantene-
re la loro leadership nel mondo. Dobbiamo risolvere il problema dell’ingiustizia razziale se pretendiamo di mantenere la leadership mondiale — e se pretendiamo di mantenere una “voce morale” in un mondo che è composto per due terzi da gente di colore”.


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 È accaduto quello che temevamo e che molti volevano, come dimostrano le strumentalizzazioni del giorno dopo. La stampa, tutta la grande stampa, non ha dubbi e amplifica le veline della Questura, del partito trasversale del cemento e della società  costruttrice della linea ad alta velocità  (che ancora nel gennaio dell’anno scorso – non sappiamo se anche oggi – provvedeva, su richiesta del prefetto di Torino, «all’alloggiamento delle forze dell’ordine preposte al mantenimento dell’ordine pubblico»).

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