Clini: «Via il presidente, poche norme ma subito»

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La nuova Autorizzazione integrata ambientale? «Nessun problema, si chiuderà  come promesso entro il 30 settembre», conferma il titolare dell’Ambiente al manifesto. Come? «Non abbiamo bisogno di premi Nobel: ci sono già  tutti gli elementi, sappiamo cosa bisogna fare, si tratta solo di decidere quali sono gli interventi fattivi». In questa direzione, il ministro ha avviato ieri i lavori per il rilascio di una nuova Aia, più restrittiva della precedente, concessa all’Ilva il 4 agosto 2011 dal governo Berlusconi, ma contemporaneamente «più secca, con molte meno prescrizioni». Non le 462 mai applicate della prima autorizzazione, ma con regole «mirate» a colpire i gangli dell’avvelenamento ambientale. Alla riunione che ha visto ieri mattina attorno a un tavolo alcuni componenti della commissione ministeriale Ippc-Aia, esperti dell’Istituto superiore di sanità  e dell’Ispra e i rappresentanti dei ministeri dello Sviluppo economico, della Salute, della Regione Puglia e degli enti locali, non c’era Dario Ticali, il giovane presidente della Commissione per la concessione delle Aia tirato in ballo nelle intercettazioni della procura. Non è indagato, eppure «di sua spontanea volontà  – riferisce Clini – ha fatto un passo indietro». «Non si è dimesso formalmente ma il suo gesto, che ho molto apprezzato, mi ha dato modo di incaricare al suo posto la giurista Carla Sepe che coordinerà  il gruppo istruttore della nuova procedura per l’Aia». Dunque, non sarà  Ticali a scegliere chi dovrà  decidere le nuove prescrizioni affinché l’acciaieria possa continuare a produrre senza attentare alla salute di tutte le generazioni a venire di Taranto. A coordinare la parte tecnica il ministro ha messo il capo della segreteria tecnica del ministero, Sebastiano Serra. Mentre per le Bat, le migliori tecnologie disponibili da usare, la scelta è caduta su Bianca Maria Scalet che, come esperta senior di chimica e ambiente nella Commissione europea, garantirà  il collegamento con l’Europa. Tutti «dovranno lavorare a Taranto, per evitare perdite di tempo. Perché – afferma Clini – più in fretta si fa, più si restringono i margini di situazioni poco trasparenti». Il ministro vorrebbe un’Aia con poche prescrizioni concentrate su tre punti cruciali di intervento: «Il monitoraggio, le emissioni fuggitive, ossia non convogliate, degli impianti a caldo, e il parco geominerario». Sono molte le misure da adottare per ridurre drasticamente le concentrazioni inquinanti, ma la prima prescrizione imposta sia dalla Gip Patrizia Todisco che dalla Commissione Ue è la copertura del parco minerario. Le precauzioni prese solo quale mese fa dall’Ilva per barrierare il parco sono leggere come le polveri nere trasportate ad ogni alito di vento verso le abitazioni vicine. Eppure, dalle parole del ministro si capisce che di coprire completamente la zona di stoccaggio dei materiali ferrosi non se ne parla neppure: «Il parco geomineriario – riferisce Clini – non è una zona omogenea perché vi sono stoccati materiali molto diversi, con differenti rischi di polverosità . Si tratta dunque di selezionare il tipo d’intervento, artricolarlo in termini di copertura dove è opportuna e praticabile, o in termini di gestione puntando sulle tecnologie avanzate». 
Ma la copertura del parco è storia antica, per l’Ilva. La richiedono anche le perizie incluse nella relazione approvata il 20 giugno scorso dalla «Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività  illecite connesse al ciclo dei rifiuti». Inutilmente, malgrado i «900 milioni di euro» investiti da Ilva «per opere di adeguamento ambientale», secondo le dichiarazioni rese dall’avvocato dell’azienda, Francesco Perli, contenute nelle 346 pagine della relazione firmata Gaetano Pecorella. È facile immaginare, al confronto, dunque, cosa si possa fare con gli ultimi 146 milioni promessi dall’azienda per scongiurare il rischio chiusura.


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