Scoppia la bomba carceri: 20 morti

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Le carceri del Venezuela sono «una bomba a tempo». Che periodicamente scoppia con effetti devastanti. Domenica la bomba è esplosa nel penitenziario di Yare, a sud di Caracas (lo stesso dove il presidente Hugo Chà¡vez scontò due anni dopo il fallito golpe del 1992 contro il governo socialdemocratico-liberista di Carlos Andrés Pérez). Per motivi non ancora chiariti ma che di certo attengono al controllo delle vita interna al carcere, due gruppi di reclusi si sono dati battaglia per ore con armi da fuoco (alcune delle quali di ultima generazione…) e granate, e quando alcune ore dopo la Guardia nazionale è riuscita a riprendere il controllo formale (perché quello reale, come in tutte le carceri venezuelane è nelle mani dei detenuti) ha verificato che i morti erano fra 20 e 25. «Tutti sappiamo che le carceri in Venezuela sono una bomba a tempo, in cui una minoranza di detenuti impone il controllo attraverso il terrore», ha detto in tv la ministra dei servizi penitenziari Iris Varela, assicurando che il governo si assume «la responsabilità  che gli compete» ma respingendo le critiche e «la connotazione politica» date dall’opposizione (ferve la campagna elettorale in vista delle presidenziali del 7 ottobre) perché, ha precisato, la situazione delle carceri nelle città  e regioni sotto il suo controllo «è la stessa».
Nelle 34 prigioni venezuelane i reclusi sono 45 mila, il triplo della loro capienza, ciò che rende impossibile la vita e inevitabile la violenza. La ministra Varela ha assicurato che il governo chavista «lavora» e «fa tutti gli sforzi del mondo» per risolvere «un problema che riconosciamo» e che «è strutturale». Fra questi sforzi ha ricordato la creazione di programmi di lavoro per 4000 reclusi nel tentativo di «recuperarli». 
La Commissione inter-americana per i diritti umani sostiene che nelle «sovraffollate» prigioni venezuelane le rivolte e gli scontri fra bande rivali hanno provocato più di 500 morti solo nel 2011. Cifre raccapriccianti e in continua crescita: la ong Observatorio venezolano de prisiones dal canto suo parla di 304 morti e più di 500 feriti nelle prigioni del paese solo nel primo semestre del 2012, un aumento del 15% in rapporto allo stesso periodo dell’anno prima.
La violenza e l’insicurezza, nelle carceri e fuori, è uno dei temi caldi della campagna elettorale, insieme all’inflazione e al costo della vita. Secondo cifre ufficiali la media di assassinii solo a Caracas, diventata una della città  più pericolose del mondo, è di 48 per ogni 100 mila abitanti. E l’inflazione nell’ultimo quinquennio è stata la più alta dell’America latina, del 19.4% fra il luglio 2011 e il luglio 2012 secondo i dati del Banco central de Venezuela, mentre i prezzi sono cresciuti nel 2011 del 27.9%. Ragione per cui, stando alle cifre dell’istituto centrale di statistica, l’85% dei venezuelani fruisce dei vari programmi sociali del governo, ciò che spiega il forte appoggio ricevuto (e tuttora quantificato intorno al 50%) da Chà¡vez dopo 13 anni di presidenza. 13 anni cui potrebbero aggiungersi i prossimi 6 (nonostante l’incognita delle condizioni di salute del leader bolivariano nel caso vinca, dopo tutte le altre, anche le prossime elezioni del 7 ottobre. In giugno tutti i sondaggi davano Chà¡vez avanti di 10-20 punti su Henrique Capriles, il candidato unico dell’opposizione, uomo di destra anche se si sforza di apparire con un Lula venezuelano. I sondaggi più recenti danno le cifre più strampalate: alcuni sostengono che i due sono ormai in «un pareggio tecnico», altri confermano gli oltre 10 punti di vantaggio di Chà¡vez. Piuttosto che attendibili appaiono anch’essi strumenti della campagna elettorale.


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