Tagli e Torino, le spine autunnali di Marchionne

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TORINO — L’ingresso sui mercati della 500L, a fine settembre, sarà  il momento della verità . Al successo di questa vettura prodotta a Kraguyeva, in Serbia, sono legate le scelte che Sergio Marchionne farà  in autunno e dalle quali si capirà  se il Lingotto ha ancora nei suoi piani un futuro italiano o se ha decisamente virato verso gli Stati Uniti. Un appello a non imboccare la seconda di queste due strade è stato rivolto a Ferragosto dall’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia, che già  un mese fa aveva sollecitato alla famiglia Agnelli una scelta che tenesse conto della sua storia e dunque del suo radicamento a Torino. Un segnale di allarme che ha avuto una forte reazione nei sindacati, anche tra quelli che hanno firmato gli accordi contestati dalla Fiom-Cgil. Il congelamento del miliardo di investimenti per il futuro di Mirafiori, ultimo annuncio di Marchionne in attesa di sapere come si muoveranno i mercati, e dunque l’accantonamento del piano per la produzione di due minisuv nella fabbrica torinese ha creato un clima di attesa che si va caricando col passare dei giorni. Mentre si teme che possa essere Mirafiori lo stabilimento destinato ad essere chiuso dopo Termini Imerese. Anche se il ceo di Fiat e Chrysler non sottovaluta le conseguenze di una mossa che, per il valore simbolico della fabbrica, potrebbe avere effetti negativi sull’immagine complessiva del gruppo. Le ferie prolungate da un ricorso alla cassa integrazione senza precedenti (la media è di tre settimane al mese per alcuni reparti) hanno solo allentato la tensione in attesa che Marchionne metta le carte in tavola mentre i mercati non mostrano quei segni di ripresa che lui si attende per sciogliere la riserva su Mirafiori. Le previsioni del Csp di Bologna, in piena sintonia con quelle di altri osservatori, dicono che il 2012 si chiuderà  sotto il milione 400 mila vetture vendute in Italia. Il che vuol dire tornare al 1979, ovvero ai livelli prodotti dalla prima crisi energetica. Il successo che Marchionne continua riscuotere in America dove l’apprezzamento del suo operato sembra crescere al ritmo col quale cresceva in Italia quando era riuscito a risanare la Fiat sottraendola alla più profonda crisi della sua storia, gli servirà  a tenere a posto i conti, ma non a lungo. Il problema Italia rimane e con poco più di 400 mila vetture vendute in tutto il 2012 non lo risolverà  (in Germania si vendono circa 3 milioni di auto e se ne producono circa 5 milioni). E non sta meglio in Europa dove, tranne il gruppo di Wolfsburg, soffrono anche aziende come Psa e Ford. La 500 serba arriva dopo una lunga astinenza di modelli. Si era parlato di ritardi nell’avvio della produzione, ma il Lingotto assicura che sono stati superati. In ogni caso 100 mila vetture all’anno, a regime, non cambieranno la situazione. Anche se nel 2013 Marchionne conta di venderla negli Usa. Dove però dovrà  vedersela con un’altra difficoltà : gli analisti concordano nel prevedere che nel 2013 il mercato americano rallenterà . Né la produzione del nuovo impianto cinese potrà  compensare gli effetti di questo rallentamento: siamo ancora sulle 200 mila vetture all’anno, una goccia nel mare magnum del mercato cinese. Per liberarsi di queste spine Marchionne dovrà  già  provare ad accelerare sulla strada delle alleanze, anche perché questo gli consentirà  di sottrarsi alle mire di chi vede la Fiat come merce acquistabile: a meno che nelle sue intenzioni e in quelle della famiglia Agnelli non ci sia anche quella di assecondare quest’ultima soluzione sinora sempre respinta. Ma in tempi di crisi le alleanze si complicano e questo spiega certi rallentamenti. E’ il caso dell’accordo con Mazda per la produzione di 200 mila spider all’anno a partire dal 2015 e in uno stabilimento di Hiroshima. Troppo poco e troppo lontano nel tempo. Tutte queste incognite potrebbero consigliare a Marchionne una scelta, che in assenza di un intervento del governo, significherebbe l’inizio dell’ultimo capitolo della storia italiana della Fiat. Quello che temono i sindacati. Per Giorgio Airaudo, uno dei leader della Fiom, Marchionne «ha messo in conto una crisi che si sta rivelando più lunga di quella da lui prevista e per questo si trova col fiato corto e tentato di ricorrere a scelte traumatiche». Che potrebbero non riguardare solo gli operai, come prova la inedita cassa integrazione degli impiegati degli Enti centrali di Mirafiori, se è vero che si parla di tagli anche nelle file dei dirigenti.


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