Bo Xilai, ergastolo per la moglie

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PECHINO — Archiviato lo scandalo pubblico di Gu Kailai, i leader del partito comunista si confrontano ora con la patata più bollente: il destino di suo marito Bo Xilai, star epurata alla vigilia del passaggio generazionale del potere e vero obiettivo dei tecnocrati di Pechino. L’ex segretario di Chongqing è scomparso da aprile, ma resta membro del Parlamento e del Politburo e contro di lui c’è solo l’inchiesta per «gravi violazioni disciplinari». Nel processo di Hefei contro la moglie, il suo nome non è mai comparso. Per i legali, Bo Xilai non potrà  dunque essere più coinvolto nell’omicidio Heywood. L’apparente buona notizia conferma però che lo scontro in atto è assai più cruciale: i vertici del partito, a poche settimane da un Congresso decisivo per i prossimi dieci anni, non sono ancora riusciti a trovare un accordo sul destino del «principe rosso» che sognava un ritorno del maoismo, ma neppure sul futuro del Paese. La spaccatura tra i riformisti, più aperti all’integrazione della Cina con l’Occidente, e i conservatori, decisi a chiudere l’ex Impero di Mezzo alle influenze esterne, cuore dello scandalo Bo Xilai, rivela così la propria forza lacerante proprio nelle incongruenze del processo. Influenti personalità  cinesi, presto censurate, sollevano dubbi inquietanti sulla ricostruzione dei giudici, per i quali l’ex spia dei servizi di Sua Maestà  sarebbe stata avvelenata una volta ubriaca di whisky. Peccato fosse astemia, giura la famiglia, e che la dose di cianuro si sia rivelata non sufficiente per uccidere. Il corpo della vittima è stato inoltre spostato e almeno un terzo uomo ha calcato la scena dell’omicidio mentre l’inglese era in agonia. Perché, si chiedono famosi legali di Pechino, coprire menzogne con altre menzogne? Chi ha ucciso Heywood e perché? L’autorevole rivista economica Caixin si è spinta a dubitare della confessione di Gu Kailai e della traduzione degli atti, oltre che a osservare come anche in Cina per una famiglia milionaria esiste la giustizia civile per regolare i conflitti d’affari. Gu Kailai il 9 agosto è inoltre apparsa in aula irriconoscibile: sfigurata dal gonfiore, invecchiata, assente e disponibile a confermare ogni accusa. Un altro giallo e gli internauti sono divisi tra chi assicura che fosse sotto effetto di psicofarmaci e chi è pronto a giurare che il potere sia ricorso ad una sosia. La denuncia sostiene che la vera Gu Kailai, complice il partito, sia stata sostituita con tale Zhao Tianyun, 46 anni dello Hebei: pratica in passato assai diffusa tra i ricchi cinesi, che pagavano alter- ego per affrontare processi e scontare pene. L’esplosione dei sospetti è l’effetto- boomerang della repressione, ma rivela che nel Paese monta lo scetticismo sia verso la ricostruzione ufficiale del delitto sia verso il movente che avrebbe indotto l’avvocatessa più famosa della nazione a rischiare la pena di morte per qualche spicciolo. L’omicidio, come confermato dalle condanne, avrebbe poi visto la complicità  di alti funzionari di partito e polizia. Per He Weifeng, docente dell’università  di Pechino e consulente del governo, è la prova che in discussione non è la follia della moglie di Bo Xilai, ma «un’organizzazione criminale che affonda nell’esercizio diffuso del potere pubblico». Il processo a Gu Kailai, costruito per neutralizzare l’irresistibile ascesa mediatica di Bo Xilai nel comitato permanente del Politburo, servirebbe cioè ai riformisti del partito, sostenuti all’estero, per scongiurare il pericolo di vedere un «nuovo Mao» insediarsi nella Città  Proibita. Ma se il processo Heywood è l’ennesima farsa di un agonizzante regime lacerato, si chiede ora la sempre più preoccupata Cina dei mercati, che ne sarà  di Bo Xilai e come potranno le autorità  evitare che lo scontro scoperchi la corruzione che demolisce la stabilità  del sistema? Il milionario Bo Xilai, responsabile di aver esportato 500 milioni di euro in tangenti e accusato di una vita tra lussi e depravazione, non può trasformarsi nell’immagine dei leader, fino a ieri suoi sostenitori, che si apprestano a guidare la seconda economia del mondo fino al 2022. Impossibile dunque riabilitarlo, ma pure epurarlo, condannando l’intera classe dirigente nazionale. Tale dilemma è la ragione per cui, nonostante il conto alla rovescia del XVIII Congresso, Pechino ancora tace ed è costretta ad aspettare. E forse avrà  bisogno di molto tempo per decidere la sorte del solo eroe popolare dell’ultimo ventennio: per tentare di salvare il potere misterioso che sostiene l’unico comunismo di successo della storia.


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