Germania intransigente e Grecia senza risorse torna la paura per il destino della moneta unica

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MILANO â€” L’Europa, tanto per cambiare, si presenta in ordine sparso al mese in cui (con ogni probabilità ) si deciderà  il suo futuro. L’euforia di queste ore sui mercati — benvenuta, per carità  â€” non illude nessuno a Bruxelles. I falchi, annusato il profumo della battaglia finale per l’euro, sono sul piede di guerra, incoraggiati a gran voce dagli speculatori di professione. E lo schieramento degli aspiranti salvatori della moneta unica rischia di arrivare al fronte con le armi spuntate.
I trionfalismi seguiti al vertice del 28-29 giugno sono ormai un ricordo del passato: lo scudo anti-spread è ancora una realtà  virtuale. Il fondo salva Stati, l’unica trincea su cui si era riusciti miracolosamente a mettere d’accordo tutti, è fermo ai box in attesa dell’ok della Corte costituzionale tedesca. Mario Draghi non può muoversi senza l’ok di una politica europea in ostaggio delle elezioni in Germania del 2013. E, dulcis in fundo, nessuno dei nodi arrivati al pettine negli ultimi tre anni è stato davvero sciolto.
Il problema più urgente, quello che rischia di far saltare il banco prima del via, è e rimane la Grecia. Le casse di Atene, tanto per cambiare, sono vuote. I 4 miliardi raccolti a tassi altissimi martedì scorso bastano appena per pagare (alla Bce) un prestito in scadenza lunedì prossimo. Il governo di Antonis Samaras fatica a mettere assieme gli 11,5 miliardi di tagli richiesti dalla Troika per sbloccare la nuova tranche di aiuti da 31 miliardi senza cui rischia il default. E i falchi della Buba
fiutano aria di Termopili. Che fare allora? Il premier ellenico ha una sua soluzione: la prossima settimana incontrerà  Angela Merkel, Francois Hollande e il presidente dell’Eurogruppo Jean Claude Juncker per chiedere due anni di tempo in più per mettere a posto i conti dello stato. Difficile che la sua richiesta possa essere accolta dalla Cancelliera, alla prese con un Parlamento dove i segnali di insofferenza verso la presunta inaffidabilità  di Atene si moltiplicano ogni giorno.
Un “no” ai due anni di moratoria richiesti da Samaras rischia però di far esplodere le contraddizioni del suo fragilissimo governo di unità  nazionale. Spingendo il paese verso le urne (sarebbe la terza volta in un anno) e verso il caos, con conseguente addio all’euro. Una situazione «gestibile» insiste il ministro dell’economia di Berlino Philipp Rosler ma che in pochi hanno davvero voglia di verificare in pratica, nel timore di un drammatico effetto contagio sul resto dei paesi deboli del Vecchio continente.
Altro capitolo complesso è quello di Spagna e Italia. Ben avviate sulla via delle riforme ma alle prese con tassi d’interesse sul proprio indebitamento difficili da gestire a lungo termine. Il rischio — senza scudo e senza Esm — è che la situazione si avviti. Gli stranieri disertano da tempo le aste di Roma e Madrid. Le banche italiane e iberiche hanno tappato in parte il buco nella prima metà  dell’anno, ma non possono riempirsi il portafoglio solo di Btp e Bonos. Quelle iberiche per di più — messe in ginocchio dai mutui in sofferenza — attraversano una forte crisi di liquidità  e sono tenute in vita solo dai prestiti della Bce in attesa del salvagente da 100 miliardi promesso dall’Efsf che potrebbe scattare tra pochissimi giorni.
L’equilibrio, insomma, è instabile. E la tela di Penelope del salvataggio dell’euro continua a essere tessuta un giorno per poi venir disfatta il giorno dopo. Il fronte dei paladini della moneta unica cercherà  di serrare le fila già  da lunedì in una serie di incontri bilaterali che servono a preparare la strada per arginare l’offensiva dei falchi. Inizieranno i due pesi massimi della Ue, Merkel e Hollande, con un summit a Berlino. Il 29 agosto — dopo aver visto Samaras — la Cancelliera riceverà  Mario Monti per volare una settimana più tardi a Madrid da Mariano Rajoy. Il 6 settembre Mario Draghi tornerà  a riunire la Bce. Poi l’11 settembre la Commissione presenterà  all’Europarlamento l’atteso pacchetto per l’Unione bancaria in attesa del redde rationem del 12, quando la Corte di Karlsruhe dirà  se Esm e fiscal compact sono compatibili con la costituzione tedesca. La strada è piena di ostacoli. E i crociati dell’euro, come dimostra l’attivismo dei prossimi giorni, sanno che non possono sbagliare una mossa. Il primo obiettivo — dice il tamtam di Bruxelles — è disinnescare la bomba ad orologeria della Grecia senza portar troppa
acqua al mulino dei falchi. La soluzione finale, quella su cui nel lungo termine scommettono tutti, è che Bce e Ue rinuncino a parte della loro esposizione verso il Partenone. Ma allo stato sarà  necessario battere strade più morbide visto che questa ipotesi è (probabilmente) inaccettabile per il Bundestag.
A Italia e Spagna dovrebbe bastare invece l’offensiva a due punte Esm-Bce. Una volta approvato il fondo salva-stati e fissate le condizioni per la sua attivazione, Draghi è pronto a scendere in campo «facendo tutto il possibile», l’ha promesso lui, per salvare l’euro, acquistando titoli di stato tricolori e iberici. Ma da qui al 12 settembre (e anche oltre) serve un percorso netto. Altrimenti il rischio dell’Armageddon finanziario è sempre dietro l’angolo.


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