E i tedeschi pensano al referendum

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BERLINO — «Potremmo arrivare a un punto in cui il referendum sull’Europa sarà  necessario». Così dice Rainer Brà¼derle, capogruppo dei liberali, una delle voci di spicco nel partito alleato della Merkel, da mesi in rivolta contro la politica europea della cancelliera. E da un’altra sponda recalcitrante della maggioranza, quella bavarese, riprende e rilancia l’idea il presidente della Csu e governatore della Baviera, Horst Seehofer. Non, insomma, un tribuno qualsiasi. Non solo Seehofer pensa a un referendum, ma vede «tre campi, in cui il popolo dovrebbe essere interpellato». Precisamente: 1) il trasferimento di ulteriori poteri a Bruxelles; 2) l’ingresso di nuovi Stati nella Ue; 3) l’aiuto finanziario tedesco ad altri Stati europei. «Solo così possiamo evitare una crisi di legittimità  e credibilità  delle istituzioni europee».
L’idea europea è in crisi? Largo al referendum. Altri Paesi l’hanno fatto, ragionano gli euroscettici, prendendosi — come l’Olanda e la Francia — il lusso di bocciare i trattati: e allora perché la Germania dovrebbe rinunciarvi? Però, se è vero che ad agitare adesso lo spettro del plebiscito sono le forze anti-aiuti, la questione è più ampia. 
Non c’è paese in Europa in cui i salvataggi Ue siano stati accompagnati da una così insistita discussione sulla democrazia come in Germania. Atene teme di perdere, o di aver già  perso, la sovranità  aprendo le porte agli ispettori della trojka? Berlino, allo stesso modo, accollandosi i debiti degli altri, ha paura di non aver più margine, né risorse, per una politica indipendente decisa in Parlamento. Non solo. Per mesi si è discusso se la cancelliera, firmando gli accordi a Bruxelles, non abbia travalicato i limiti imposti dalla sovranità  nazionale. E proprio questo dovrà  decidere la Corte Costituzionale di Karlsruhe, con la ormai famosa sentenza del 12 settembre: se il Fondo salva Stati Esm è compatibile con l’attuale costituzione e l’ordine democratico tedesco, scritto nel 1948.
Il referendum, tuttavia, non è solo uno spauracchio euroscettico. Tutt’altro. Il primo ad averlo proposto, a giugno, è stato Wolfgang Schà¤uble, il ministro delle Finanze che è il volto europeista del governo Merkel. «Comincio a credere — ha detto — che un referendum possa arrivare prima di quanto pensassi». La cancelliera l’ha corretto. Ma è evidente che un profondo conoscitore della struttura europea e un sostenitore di una maggiore integrazione economica e politica, come Schà¤uble, ritenga inevitabile che l’attuale Stato nazionale dovrà  essere superato. 
Si è spinto molto in avanti anche Sigmar Gabriel, uno dei tre leader del Spd. È lui che sta dando forma, nelle ultime settimane, al programma socialdemocratico. La sua proposta di un «debito condiviso» tra i Paesi europei «a precise condizioni» e la creazione di una vera unione fiscale che sposti risorse tra i Paesi dovrebbero essere approvate — parola di Gabriel — da un plebiscito nazionale. I verdi hanno già  detto di essere d’accordo. 
Referendum, quindi, arma contesa dai due schieramenti, quello «euroscettico» e quello più «federalista»? Pare proprio di sì. E se qualche costituzionalista come Udo Di Fabio, ex «giudice in rosso» italotedesco a Karlsruhe ritiene irresponsabili i politici che giocano alla leggera con un’arma mai usata nella storia della Germania democratica, è anche vero che la domanda non si può più eludere. Andreas Vosskuhle, il giudice che scriverà  la sentenza del 12 settembre sull’Esm, ritiene che non ci sia «più molto spazio per ulteriori trasferimenti di competenze all’Unione europea». «Se si volessero varcare questi limiti, come potrebbe essere politicamente accettabile e anche auspicabile — ha detto in un’intervista alla Frankfurter Allgemeine Zeitung — la Germania dovrebbe darsi una nuova Costituzione. Ma allora sarebbe necessario un referendum». Se tutti si aspettano che la sentenza permetta di attivare lo scudo anti-spread, avrà  invece molto da dire anche sui limiti degli Stati nazionali. Una questione che non riguarda solo Berlino.


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