La class action dei ristoranti contro le recensioni in Rete

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Amerigo Capria ha 33 anni, esperienze di lavoro che vanno dall’enoteca Picchiorri a Cracco, un ristorante tutto suo a Monteprestoli e uno a Firenze dalle pareti gialle. Un cliente su TripAdvisor le ha criticate («tanto anni 90»), «ma almeno c’è stato». Un altro, invece, «senza averle nemmeno viste», ha stroncato un piatto di «penne al pomodoro mai entrato nel menu di casa». Bene. Qualche giorno fa Amerigo Capria, proprio tra le pareti gialle del suo Baccarossa che altri hanno promosso, ha ricevuto la visita di un fornitore di vino: «Mi ha sempre detto: “Compri dieci casse, una è in omaggio”. Stavolta ha cambiato: “Dieci casse di vino e 5 recensioni di quelle buone su TripAdvisor». «Adesso basta», ha risposto lo chef, e accompagnandolo alla porta ha interrotto quello i ristoratori hanno già  ribattezzato come il nuovo pizzo: «O accetti la fornitura o ti ammazzo», sul Web s’intende».
«Adesso basta». Come Amerigo Capria, dopo l’attacco di qualche giorno fa degli albergatori, hanno iniziato a dirlo tanti ristoratori a Firenze e dintorni. Le segnalazioni sono finite sul tavolo toscano della Federazione italiana dei pubblici esercizi, poi all’ordine del giorno di un incontro con i vertici nazionali. Quindi in un fascicolo dei legali dell’associazione insieme alle carte dei magistrati di Parigi e Londra davanti ai quali TripAdvisor, Expedia e Hotels.com sono stati chiamati in giudizio: «Vogliamo denunciare gli autori dei ricatti ma anche i portali», spiega Aldo Cursano, vicepresidente nazionale vicario della Fipe e presidente regionale. «Nel primo caso stiamo valutando gli estremi per una denuncia penale (estorsione?) nel secondo la giusta contestazione, non vogliamo fare la fine degli albergatori attribuendo loro la responsabilità  di false recensioni». Il «giovane» Capria già  pensa a una class action da portare negli Usa, il presidente ridimensiona ipotizzando un’omissione di controllo da parte dei portali estendendo l’iniziativa agli albergatori e a siti come Trivago e Zoover.
Ditte fornitrici di ristoranti e locali («dai vini alla biancheria»), costruttori di online reputation spudorate («pagano ragazzini 500 euro al mese per scrivere commenti e poi proporre al telefono un riposizionamento del locale…») ma anche agenzie di viaggio incoming («chiedono prezzi stracciatissimi o…»): «Più i commenti online assumono valore economico più il ricatto diventa strutturato», continua Cursano. «Prima ti capitava il commento negativo del cliente, quello del dipendente lasciato a casa: ora ci troviamo davanti a una nuova mafia, un mercato nero che va contro la democrazia dal basso non condizionabile sbandierata da TripAdvisor. Non parliamo di 15-20 ristoratori ma di centinaia». Milano. Roma. Napoli. «Capisco che se la Uno bianca viene usata per le rapine la colpa non è di chi l’ha costruita. Ma o si dice che il sistema è inaffidabile (e sarebbe una sconfitta per tutti) o si trovano delle correzioni profonde: un sistema di garanzia». 
Giuliano Pasini, uno storico ristorante a Lucca e un incarico come consigliere in Fipe, ricorda quando la polemica investiva «le guide cartacee e certi ispettori». «Davanti al ricatto non resta che l’autorità  giudiziaria, ma attenzione: questi motori sono preziosi, dobbiamo incontrarci e trovare una soluzione partendo dall’abolizione dell’anonimato». Lorenzo Brufani, portavoce di TripAdvisor Italia, raccoglie la prima proposta ma boccia la seconda: «Chi fa una recensione falsa compie un reato, ben vengano le cause mirate. Stiamo però tutti dalla stessa parte: siamo vittime come i ristoratori che invitiamo a segnalarci i casi sospetti. Un’attività  che va ad affiancare quella dei nostri 70 professionisti del team antifrode». Poi aggiunge: «In fondo a ogni commento sta scritto: “Io mi prendo la responsabilità  della veridicità  di questa recensione”. E se non si dà  il consenso il commento non parte. In ogni sede dimostreremo di avere le carte in regola».


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