Dopo il black out, la «normalità »

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Ma cosa significa che «la situazione è tornata normale». Oggi almeno il 40% della popolazione dell’India rurale (dove gran parte della popolazione vive), non è collegata alla rete elettrica, e anche nei villaggi che sono collegati non sempre la corrente è erogata. I black out sono ricorrenti anche nell’India urbana, in città  piccole e in metropoli come New Delhi o Mumbai: spesso sono interruzioni «programmate», semplicemente perché la domanda ha superato l’offerta. Spesso, quando la luce manca, si sente partire il ronzio dei generatori tanto diffusi in case private, negozi, hotel, grandi uffici. La mancanza di energia è ovviamente un costo che pesa sulle attività  produttive e le limita. Insomma, l’India ha bisogno di produrre più energia. del resto, nonostante il grande «consumismo» dell’ultimo decennio, continua ad avere uno dei consumi procapite più bassi al mondo: 734 kilowattora per persona all’anno, contro una media mondiale di 2.429.
Accusare il governo e/o l’amministrazione pubblica di inefficenza è fin troppo facile – una classe dirigente che non garantisce i servizi pubblici essenziali, una economia emergente che non investe in infrastrutture. Le solite polemoche su burocrazia, lentezze nell’autorizzare investimenti privati… Eppure negli ultimi cinque anni l’India ha investito nel settore dell’energia circa 130 miliardi di dollari; oggi ha una capacità  installata di 205.000 megawatt (MW) di energia elettrica, il 35% più di cinque anni fa. Certo, resta appena un quinto della potenza installata in Cina (e l’élite indiana è ossessionata dal paragone con la Cina). Soprattutto, la produzione sale ma la domanda aumenta più in fretta: oggi, secondo il dato ufficiale, nei momenti di picco c’è un deficit di 15mila MW (cioè circa il 10%). Tra le cause del deficit perdurante, una è la penuria di combustibili: circa l’80% dell’elettricità  è generale in centrali a carbone, lignite o gas naturale. Il carbone però manca; l’India è il terzo produttore al mondo e brucia l’80% di ciò che estrae per produrre elettricità , ma deve ancora importare oltre 230 milioni di tonnellate ogni anno. 
Un esperto del Centre for Science and Environment, autorevole istituto di ricerca e attivismo ambientale di new Delhi, sottolinea piuttosto che il sistema di distribuzione di energia ha pochissima flessibilità  per quanto riguarda i picchi (cioè pochissima capacità  di immettere nella rete energia supplementare per far fronte a picchi della richiesta). Quest’estate il monsone non arriva, e questa è una tragedia a catena: per l’agricoltura (che dipende largamente dall’acqua che case dal cielo in questa stagione) ma ha anche per il sovraccarico della rete elettrica, e per due motivi: perché sale il consumo di elettricità  (per azionare le pompe con cui si estrae l’acqua dai pozzi per l’irrigazione, o per i condizionatori d’aria che restano accesi in città  in attesa del refrigerio delle piogge) e perché con i laghi artificiali mezzo vuoti cala la produzione idroelettrica: si calcola che tra aprile e giugno 2012 le centrali idroelettriche indiane abbiamo prodotto quasi il 20% meno dello stesso periodo nel 2011. La produzione idroelettrica è solo il 12 o 13% del totale, in India, ma è quella che aggiunge la flessibilità  nei momenti di picco. 
Insomma, sostiene il Cse, la cosa più urgente è cambiare la configurazione della rete: investire in modo massiccio in energie rinnovabili come il solare e il vento, «essenziali per stabilizzare la rete, dato che la loro caratteristica è generare di più proprio nei momenti di picco della domanda nel paese».


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