Cina popolare e Vaticano ancora ai ferri corti
La questione della libertà religiosa è uno dei capitoli più dolenti della violazione dei diritti umani da parte della Cina popolare. I problemi maggiori, dopo la fine dell’era maoista e l’apertura alle tradizioni religiose autoctone, sono proprio con la Chiesa cattolica romana percepita come un’organizzazione verticale e gerarchica (per certi versi simile a quella dei comunisti cinesi) in diretta concorrenza con il modello statale della Cina popolare.
Così commenta Bernardo Cervellera, direttore di Asianews: “Nel compiere questi gesti mons. Ma ha semplicemente rivendicato la libertà religiosa per il suo impegno episcopale, un principio che pure la costituzione cinese difende. Solo che accanto alla costituzione vi sono regolamenti provinciali e nazionali che sottomettono la vita delle comunità cristiane e i loro pastori a controlli, minacce, adulazioni, corruzioni, frenando l’impegno di evangelizzazione.
Con i suoi gesti mons. Ma ha anche affermato che l’ordinazione di un pastore non è una questione politica che debba essere manipolata dal potere, ma un gesto religioso in cui il papa e le sue indicazioni sono da rispettare per amore della verità .
Da questo punto di vista, mons. Ma ha compiuto la scelta che da decenni vivono sulla loro pelle le comunità e i vescovi della Chiesa non ufficiale (sotterranea) che in nome della salvaguardia della libertà di evangelizzare, rischiano prigione, sequestri, isolamento, emarginazione”.
Un articolo della versione online in lingua inglese del Quotidiano del popolo, uno degli organi ufficiali del regime, presenta una opposta ricostruzione dei fatti, riportando la posizione dell’organismo governativo per gli affari religiosi (SARA). Così si legge nell’articolo, apparso il 5 luglio scorso: “Il dipartimento di Stato per gli affari religiosi ha esortato il Vaticano a recedere dalle sue minacce di scomunicare due vescovi cinesi che erano stati ordinati senza l’approvazione papale, e di ritornare al «corretto sentiero di dialogo». Le minacce di scomunica sono «estremamente irragionevoli e dure», ha detto in un comunicato un portavoce di SARA”. Poi l’articolo prosegue con una spericolata quanto propagandistica ricostruzione storica. “L’Associazione patriottica cattolica cinese era stata obbligata ad iniziare a ordinare vescovi scelti da lei negli anni ’50 dopo che il Vaticano aveva minacciato di emettere una scomunica. Da allora l’Associazione ha nominato più di 190 vescovi, concorrendo a garantire e a promuovere il prospero sviluppo della Chiesa cattolica cinese. Il perdurare della pratica dell’associazione di ordinare vescovi è necessario per diffondere il verbo del cattolicesimo in Cina, dove la maggior parte delle diocesi erano rimaste per lungo tempo senza vescovo. Questa pratica va incontro a una forte aspirazione della maggioranza dei sacerdoti e dei fedeli ed è una manifestazione della libertà religiosa”. Un’affermazione incredibile che stravolge la realtà . Ma non è finita: “Ogni rigetto o discussione con questa pratica religiosa è una limitazione della libertà e un atto di intolleranza che va a deterioramento del prospero sviluppo delle [strano plurale davvero!, ndr] chiese cattoliche in Cina e nel mondo. Il governo cinese è intenzionato a discutere ogni questione, inclusa l’ordinazione di vescovi, con il Vaticano, ma il governo continuerà a sostenere l’Associazione patriottica cattolica cinese nella scelta e nell’ordinazione dei suoi vescovi prima che le due parti raggiungano un accordo”.
La reazione furibonda del regime è connessa anche alla scomunica commessa dal Vaticano al vescovo “patriottico” di Harbin Yue Fusheng, un provvedimento che allontana ancora Pechino da Roma. Dal canto suo il Vaticano replica con una nota ufficiale, in cui tra l’altro si legge: “Tutti i cattolici in Cina, Pastori, sacerdoti, persone consacrate e fedeli laici, sono chiamati a difendere e a salvaguardare ciò che appartiene alla dottrina e alla tradizione della Chiesa. Anche nelle presenti difficoltà essi guardano con fiducia al futuro, confortati dalla certezza che la Chiesa è fondata sulla roccia di Pietro e dei suoi Successori.
Confidando nell’effettivo desiderio delle Autorità governative cinesi di dialogare con la Santa Sede, la medesima Sede Apostolica auspica che dette Autorità non favoriscano gesti contrari a tale dialogo. Anche i Cattolici cinesi attendono passi concreti nello stesso senso, primo fra tutti quello di evitare le celebrazioni illegittime e le ordinazioni episcopali senza mandato pontificio, che creano divisione e recano sofferenza alle comunità cattoliche in Cina e alla Chiesa universale.
È motivo di apprezzamento e di incoraggiamento l’ordinazione del Rev. Taddeo Ma Daqin a Vescovo Ausiliare della diocesi di Shanghai, avvenuta sabato 7 luglio corrente. La presenza da parte di un Vescovo, che non è in comunione con il Santo Padre, era inopportuna e mostra mancanza di sensibilità verso un’ordinazione episcopale legittima”.
Toni fermi e duri che non lasciano presagire un avvicinamento tra le parti. Nella Chiesa cattolica si discute molte su quale linea tenere nei confronti della Cina Popolare. Papa Ratzinger, all’inizio del suo pontificato, aveva dato un’accelerazione al dialogo, culminata con la conciliante Lettera ai cattolici della Repubblica Popolare cinese(va notata la dizione “Repubblica Popolare cinese” e non “Cina continentale”, come invece scritto nella recente Nota citata in precedenza) del 27 maggio 2007. Grandi speranze aveva sortito il documento, ma poi i fatti sono andati in tutt’altra direzione con arresti di vescovi fedeli a Roma e con una libertà di culto concretamente negata. Così ha ripreso vigore la linea intransigente del Cardinal Zen che a più riprese ha tuonato contro qualsiasi tipo di apertura: il vescovo emerito di Hong Kong spera probabilmente in un cedimento del regime che potrebbe spaventarsi a vedere la crescita del dissenso e il diffondersi della protesta che potrebbe coinvolgere milioni di fedeli cinesi. Il regime sembra avvalorare la diagnosi di Zen, anche se per ora non dà segni di cambiamento.
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