L’ok da Berlino e poi l’azione “Tocca a noi difendere i tassi”

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BRUXELLES – Andando al nocciolo del dramma di quest’ultimo mese, e cioè l’attacco alla sopravvivenza stessa della moneta unica, ha detto che l’euro non crollerà . Che la Banca centrale considera una propria priorità  essenziale la difesa della moneta per cui è stata creata. E che per farlo è pronta ad usare “tutti i mezzi necessari”. Il fatto che queste evidenze abbiano d’un tratto cambiato radicalmente il quadro europeo e dato una salutare frustata ai mercati la dice lunga su quanto miserevole fosse stata la comunicazione da parte dei leader politici nazionali e comunitari, paralizzati nella morsa tra i veti reciproci e la paura delle opinioni pubbliche nazionali.
Non è la prima volta che il presidente della Bce dice queste cose. Recentemente si era espresso in termini pressoché identici anche nell’intervista a Le Monde, pubblicata su questo giornale. E tuttavia i mercati non avevano reagito, continuando imperterriti il loro tentativo di dilaniare l’euro, convinti che la Bce avesse le mani legate. Questa volta, invece, il messaggio sembra essere andato a segno. Il motivo è semplice: oltre a ripetere il suo credo fondamentale, ieri Draghi ha fornito anche la base giuridica che a suo giudizio gli consente di intervenire. «Se i premi di rischio sul debito sovrano impediscono la trasmissione della politica monetaria, rientrano nel quadro del nostro mandato», ha spiegato il presidente della Bce. In altre parole: se di fronte ad un abbassamento dei tassi da parte della Banca centrale, come quello che è appena stato varato, i tassi reali continuano a crescere in misura sproporzionata, la Bce si vede privata del suo principale strumento di politica monetaria. E quindi ha pieno diritto di intervenire.
Quello che Draghi non ha detto, ma che si desume agevolmente dalle sue parole, è che la pretesa dei mercati di prendere in ostaggio
la moneta unica stava esautorando anche la Bce privandola della possibilità  di gestire la stabilità  dell’euro. In una fase in cui l’Europa sfiora la recessione e la deflazione, Francoforte non è in grado di ridurre i tassi come dovrebbe, perché la speculazione ha privato la Banca della sovranità  sulla moneta. E così facendo ha superato un limite che la Bce considera invalicabile.
Perché Draghi ha potuto dire ieri pubblicamente cose che, evidentemente, fino ad ora si era limitato a pensare? E perché lo fa a pochi giorni da una cruciale riunione del board della Bce che, in teoria, potrebbe sconfessarlo? Le spiegazioni possibili sono due. La prima è che il suo ragionamento sia talmente ineccepibile da aver ottenuto l’avallo anche dei falchi tedeschi, Weidmann e Asmussen, che siedono nel Consiglio dell’istituto di Francoforte. In questo senso l’uscita di un altro rigorista, il presidente della Banca centrale austriaca Nowotny, che l’altro ieri ha addirittura sostenuto l’opportunità  di conferire una licenza bancaria al fondo salva-Stati, sembra confermare che la preoccupazione per l’assalto all’euro sia diffusa a tutti i livelli tra i responsabili della
moneta comune. La spiegazione più probabile, però, è che Draghi abbia ottenuto il tacito assenso ad intervenire da parte della leadership politica tedesca, la cancelliera Merkel e il Finanzminister Schauble, e che, grazie a questo, sappia di poter comunque piegare le resistenze dei falchi e strappare il sostegno della maggioranza del Consiglio. In fondo, se la Bce si muove autonomamente per disinnescare una crisi che nessun dirigente responsabile, neppure in Germania, si auspica davvero, consente alla Merkel di restare formalmente fedele ai propri principi. In questo modo la Cancelliera può evitare che la battaglia per salvare la moneta unica si trasformi in uno scontro politico frontale tra governi, di cui all’ultimo vertice si sono avute alcune timide avvisaglie, in cui rischierebbe di perdere la faccia. Ma, paradossalmente, l’assist più importante Draghi lo ha ricevuto proprio dai campioni della logica speculativa di mercato: l’agenzia Moody’s. Il downgrading delle prospettive per Germania, Olanda e Austria, e perfino per il fondo salva-Stati, anticipato nei giorni scorsi dall’agenzia di rating, è suonato come la conferma che la guerra contro l’euro non farà  prigionieri. La logica del contagio non si fermerà  al di qua delle Alpi, ma finirà  per travolgere anche quei Paesi che finora, proprio grazie al vantaggio degli spread, si consideravano virtuosi. E che forse, a questo punto, si lasceranno convincere a seguire Draghi in quella che è ormai una guerra senza quartiere.


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