Dove Sono gli Animal Spirits?

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Gli imprenditori, ancora meglio i «pionieri» — diceva il grande economista — mettono da parte il pensiero della perdita «così come un uomo sano mette da parte l’aspettativa della morte». Prendono rischi, sono mossi da una «urgenza spontanea all’azione». Se vengono a mancare gli animal spirits, il capitalismo perde un pezzo costituente della sua natura.
Il guaio di oggi è che questi spiriti mossi dal desiderio di fare, che l’Italia conosce in abbondanza, sono in ritirata in parecchi Paesi. Anzi, sembrano annichiliti. Le domande di credito alle banche da parte dei privati sono in caduta. Commerci e negozi chiudono. La spinta all’innovazione rallenta. È la crisi, certo, e quindi l’incertezza e la mancanza di fiducia. Ma non solo. Negli ultimi anni l’impresa capitalista è diventata sempre più grande, sempre più intrecciata con lo Stato in fatto di potere e di denaro, sempre più ostile all’emergere di nuovi soggetti. In poche parole un ostacolo all’azione degli animal spirits. È platealmente vero nel modello cinese che affascina molti Paesi in via di sviluppo e si diffonde. Ma è anche vero in Occidente, nella forma massima nota come too-big-to-fail, di entità  così gigantesche da non potere essere lasciate fallire e quindi da considerare beni protetti (con denaro, favori, clientele e salvataggi) dagli Stati: imprese senza rischio d’impresa.
I neokeynesiani, dunque, dovrebbero fare attenzione all’eccesso di potere dello Stato. E i liberali, se veri, dovrebbero prendere le distanze dal Big Business alleato dei governi. Entrambi affossano il mercato, uniche praterie sulle quali gli spiriti animali possono correre, e aiutano la crisi a propagarsi. «Se gli animal spirits sono offuscati — diceva ancora Keynes — e l’ottimismo spontaneo vacilla, lasciandoci solo a dipendere da nient’altro che dalle aspettative matematiche, l’impresa avvizzirà  e morirà ».


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