Fondo salva-Stati con poche munizioni il destino dell’euro nelle mani della sola Bce

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I leader dei Paesi europei continuano a essere scavalcati dalla crisi. Hanno varato, anche con tempestività , il salvataggio delle banche spagnole, quando, però, la crisi aveva già  investito in pieno lo Stato spagnolo.
E hanno messo in piedi un Fondo salva-Stati, che rischia di essere operativo quando non serve più. Se, a settembre, la Corte costituzionale tedesca darà  il via libera al Fondo, i suoi 500 miliardi di euro di riserva rischiano di essere già  stati inghiottiti dall’inevitabile salvataggio di Madrid. Tocca quindi alla Banca centrale europea prendere in mano le redini in modo che gli interventi tornino al passo con la situazione reale e risultino efficaci.
Il meccanismo di trasmissione della politica monetaria europea si è rotto. Lo dice il governatore della Banca di Francia, Christian Noyer. Lo dice Lorenzo Bini Smaghi, fino a pochi mesi fa membro del board della Bce a Francoforte. Lo dicono ormai in molti. Sembra una discussione da supertecnici: in due parole, la Bce riduce il tasso di interesse a minimi record, ma questa riduzione non si diffonde in modo omogeneo nei diversi Paesi dell’area euro e i tassi risultano molto diversi, ad esempio, tra Italia e Germania. Invece, l’affer-mazione ha un peso politico rilevante: se i trattati europei assegnano alla Banca centrale il compito di attuare “la politica monetaria della Comunità ” e se questa non può che essere una sola, l’incepparsi delle decisioni sui tassi di interesse che prende Francoforte può essere la leva che consente eccezionalmente a Mario Draghi di correre in soccorso, con tutte le risorse dell’Istituto di emissione, della Spagna, dell’Italia e dell’euro. E’ alla Bce, infatti, che sia in Europa che in America si guarda sempre di più, come l’unica istituzione in grado di intervenire rapidamente e con i mezzi necessari, mentre sempre più rapidamente svanisce ogni impatto positivo dell’ultimo summit europeo.
Ancora una volta, infatti, i leader europei sono stati scavalcati dalla crisi. Hanno varato, anche con tempestività , il salvataggio delle banche spagnole, quando, però, la crisi aveva già  investito lo Stato spagnolo. E hanno messo in piedi un Fondo Salva-Stati, che rischia di entrare in funzione quando non serve più. Se, a settembre, la Corte costituzionale tedesca darà  il via libera al Fondo, i suoi 500 miliardi di euro di riserva rischiano di essere già  stati inghiottiti dall’inevitabile salvataggio di Madrid. Il governo spagnolo, infatti, già  oggi non sembra più in grado di finanziarsi sui mercati. Ieri, il tasso sui Bonos decennali pagava un insostenibile 7,50 per cento. Soprattutto, colpisce che il rendimento su un Bonos biennale – e, dunque, rimborsato ben otto anni prima – sia schizzato quasi alla stessa altezza: 6,53 per cento. Secondo gli operatori, è il segno di un’ondata di panico. Ma, se anche Madrid, dopo Atene, Dublino e Lisbona, deve ricorrere alle altre capitali europee per far fronte ai suoi debiti, il Fondo salva Stati è già  esaurito. Fra il 2013 e il 2014, le necessità  di finanziamento della Spagna non saranno inferiori ai 400 miliardi di euro circa, contro i 500 del Fondo. Il cui forziere sarebbe comunque travolto, se il contagio escludesse anche l’Italia dai mercati: solo nel 2013, l’Italia deve restituire debiti per oltre 350 miliardi di euro.
La Bce – che può aumentare a piacere i suoi fondi, stampando moneta – ha i mezzi per intervenire e riportare i rendimenti a livelli che Madrid e Roma possano sostenere. Ma gli strumenti per questo intervento sono già  stati bocciati, soprattutto da Berlino. Il primo è una nuova operazione di liquidità , come quella realizzata, fra dicembre e febbraio, rifornendo per un miliardo di euro le banche, che in buona misura sono intervenute a comprare titoli pubblici, alleggerendo la pressione sui governi. L’obiezione principale è che, in questo modo, si appesantirebbero i bilanci delle banche, spostando il mirino della speculazione dai governi agli istituti di credito. Il secondo strumento è la concessione di una licenza bancaria al Fondo salva-Stati che, con questo titolo, sarebbe in grado di rifornirsi di liquidità  in misura praticamente illimitata, presso la Bce e potrebbe, dunque, intervenire massicciamente sui mercati a sostegno dei Bonos e dei Btp. Il terzo è praticamente la stessa cosa, solo senza il Fondo salva-Stati, ma affidando direttamente alla Bce l’intervento. Francoforte lo ha già  fatto, nella seconda metà  dell’anno scorso, ma in misura limitata (accumulando, peraltro, titoli per 270 miliardi di euro). L’ipotesi di un intervento massiccio, teoricamente illimitato, tuttavia, viene giudicato un finanziamento diretto dei debiti degli Stati, che i Trattati europei vietano.
Entra qui in gioco quell’incepparsi dei meccanismi di trasmissione della politica monetaria che, ugualmente, i Trattati affidano alla Bce. Nota il governatore della Banca di Francia, Noyer, che, ormai, i tassi di interesse con cui si finanziano le banche dipendono «dai costi di finanziamento degli Stati in cui sono domiciliate e non dal tasso di interesse fissato dalla Bce». Una banca italiana ottiene, cioè, prestiti al 6-7 per cento, mentre una banca tedesca all’1-2 per cento e il fatto che il tasso fissato dalla Bce sia lo 0,75 per cento non ha alcun peso nei loro costi di finanziamento.
La stesso squilibrio si verifica nel più ampio mercato del credito, per le famiglie che chiedono prestiti e le aziende che cercano di finanziare la loro attività . Bini Smaghi osserva che, in generale, l’intero mercato finanziario dell’Eurozona, «in tutti i suoi segmenti e in tutte le sue scadenze, compreso il brevissimo termine» non sembra più in grado di funzionare, perché le banche concentrano la loro liquidità  presso la Bce anziché farla circolare fra Paesi ed istituti. La crisi, sostiene l’ex componente del board di Francoforte, impone che i singoli Paesi tengano fede agli impegni sulle riforme, ma anche «che la banca centrale prenda misure più drastiche per assicurare che c’è una sola politica monetaria in tutta l’eurozona, coerentemente con il suo mandato». La stabilità  dei prezzi (il mantra preferito di Francoforte), dice Bini Smaghi, «non è in pericolo per ora, l’euro potrebbe esserlo».


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