Quei furbetti di Madrid

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Con lo spread alle stelle, il governo Rajoy vede moltiplicarsi i problemi a una velocità  senza precedenti. Anche perché la pressione finanziaria alla quale la Spagna è esposta in queste settimane ha fatto emergere con chiarezza tensioni politiche che stanno mettendo in forse il futuro del sistema regionale e delle autonomie che abbiamo conosciuto dalla fine del franchismo. Costruiti dopo la dittatura, nel corso degli anni, i governi regionali non solo hanno assunto un’importanza sempre crescente in termini di competenze ma hanno costituito anche uno degli elementi fondamentali che definiscono gli equilibri politici del paese. Non tanto o non solo per ciò che riguarda le cosiddette autonomie «storiche»come Catalogna, Paesi Baschi e Galizia), ma anche per le altre. 
La situazione del governo in carica da questo punto di vista è particolarmente delicata. Per capirlo però bisogna fare un passo indietro e spiegare che buona parte dei ritardi del governo popolare nell’affrontare la crisi dipendono proprio dall’attenzione che l’esecutivo centrale ha riservato agli equilibri regionali. 
Da novembre, quando il Pp ha vinto le elezioni con la maggioranza assoluta fino a marzo, quando si è votato in Andalusia, Rajoy è stato praticamente fermo, non ha voluto prendere nessuna misura che avrebbe potuto influire sugli elettori della grande regione del sud che, da sempre socialista, sembrava potesse passare di mano. Se l’Andalusia fosse andata ai popolari, Rajoy di fatto non avrebbe più avuto limiti: tranne che nei paesi Baschi e in Catalogna avrebbe governato quasi ovunque e avrebbe potuto cominciare quel processo ricentralizzatore che tutti – chi con paura, chi con soddisfazione -, credevano fosse l’asso nella manica di quello strano gabinetto così forte in parlamento eppure così muto per tanti mesi. Si trattava di togliere competenze e soprattutto finanziamenti alle regioni, che sono, di fatto gli enti che erogano il grosso dei servizi (soprattutto scuola e sanità ) ai cittadini. Gli elettori andalusi invece non si sono fatti sedurre e ora in Andalusia c’è un governo di sinistra con socialisti e Izquierda Unida. Le elezioni andaluse però sono state soltanto l’inizio. 
Quando a metà  maggio si è riunito il Consiglio di Politica Fiscale e Finanziaria – la conferenza stato-regioni che si occupa dei finanziamenti e che in questo caso aveva per oggetto le spending rewiew regionali che dovevano limitare i deficit all’1,5% -, ci sono state nuove e sgradite sorprese per il governo. 
Prima di tutto la Catalogna si è presentata con un documento nel quale rivendicava che la regione aveva già  da tempo cominciato a tagliare (è stata, per esempio, l’unica amministrazione ad aver già  ridotto gli stipendi dei dipendenti pubblici) e avrebbe continuato a farlo, ma in completa autonomia. E proprio perché aveva cominciato l’austerity in anticipo, Barcellona si è sentita sufficientemente forte da chiedere indietro con grande determinazione i finanziamenti pendenti dal centro. Poi però anche dal sud sono arrivate sorprese: l’Andalusia ha presentato il suo piano di risanamento nel quale non si prevedevano tagli né a scuola e università  né alla sanità . 
Infine per Rajoy la sorpresa più amara, la Comunidad de Madrid e la Comunitat Valenciana, i veri serbatoi di voti popolari, le regioni nelle quali storicamente si è costruita la forza del partito conservatore, arrivavano all’appuntamento facendo sapere che i buchi di bilancio reali erano molto più consistenti di quanto dichiarato: Madrid un 2,2% invece di un 1,13% e Valencia un 4,5% invece di un 3,68%. Per Rajoy una batosta politica, prima che finanziaria. 
Ma non è finita qui. Quando a metà  luglio la crisi è precipitata nell’orrore del rescate, il governo centrale ha deciso di non applicare alle regioni le stesse condizioni agevolate (si fa per dire) che Bruxelles ha concesso a Madrid. E questo, com’è naturale, ha generato un conflitto durissimo. Se le regioni «discole» del Pp come Madrid e Valencia per ora non hanno alzato troppo la voce e anzi quest’ultima (come anche Murcia) ha chiesto di accedere al fondo di garanzia statale praticamente a qualsiasi condizione perché di fatto, non è più in grado di pagare né stipendi né fornitori (come le case farmaceutiche, per esempio), la Catalogna ha annunciato un ricorso alla Corte costituzionale sulle misure approvate dal governo ritenendo che invadano le competenze regionali.


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