Dallo scandalo agli interrogatori l’anno orribile dello Squalo

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LONDRA â€” Non si incontrano facce allegre tra i giornalisti che entrano negli uffici della News Corporation, quartier generale del Times, del Sunday Times, del Sun.
Siamo a Wapping, a due passi dal Tamigi. Più a sud ci sono il ponte dei Frati Neri sotto cui fu ritrovato impiccato il banchiere Guido Calvi e la Tower of London, il castello dove Enrico VIII rinchiuse una delle sue mogli. Più a est sorge il nuovo Parco Olimpico, l’East End restaurato e commercializzato dai Giochi che iniziano fra appena cinque giorni.
Quando Rupert Murdoch, con uno dei suoi abituali colpi di scena, trasferì quaggiù dalla storica Fleet street le redazioni dei giornali di cui si era impossessato, i suoi cronisti gridarono al golpe, ma poi dopo mesi di scioperi finirono per obbedire. E adesso, come vedono le dimissioni dello Squalo? «E’ l’inizio del suo lungo addio, che ci venda o meno niente sarà  più come prima », risponde un caporedattore, chiedendo di restare anonimo. «È la fine di un anno vissuto pericolosamente», commenta un inviato speciale, anche lui nascosto dietro l’anonimato, per timore delle vendette del padrone contro chi viola l’omertà  aziendale.
Gli scandali che fanno cadere i grandi della terra cominciano a volte con un nonnulla, una notiziola che merita al massimo tre colonne in cronaca. Il Watergate che portò alle dimissioni da presidente di Richard Nixon si aprì con la scoperta di strani scassinatori nella sede del partito democratico: sembrava una storia da ladruncoli, per questo il Washington Post mandò a indagare due reporter novellini, un certo Woodward e un certo Bernstein.
Anche il Tabloidgate che ora ha portato alle dimissioni di Murdoch iniziò in sordina: un giornale rivale, il Guardian, covo di comunisti dal punto di vista di Rupert, scoprì che un giornalista del News of the World, il più lurido dei tabloid londinesi, aveva intercettato il telefonino dei familiari di una bambina rapita, poi ritrovata morta. E allora? Si sa che i cronisti di nera rubacchiano perfino foto dei defunti dalla scrivania dei parenti, per poterle pubblicare sul giornale: che c’è di strano?
Eppure quel piccolo scoop aprì una voragine: migliaia di intercettazioni illecite, centinaia di episodi di corruzione, decine di arresti, incriminazioni, processi. Come il Nixon del Watergate, il vecchio Murdoch ha caparbiamente scaricato su altri ogni responsabilità , perfino sul proprio figlio James, detronizzandolo dal ruolo di erede designato e costringendolo a dimettersi. Lui ha sempre negato di sapere alcunché delle operazioni illegali condotte dai suoi giornali, dai suoi uomini, con i suoi soldi. Soltanto ora, dimettendosi dai consigli d’amministrazione del Sun e del Times, per la prima volta ammette implicitamente che qualche responsabilità  ce l’ha. «Non è difficile giungere alla conclusione che Murdoch stia abbandonando le redazioni del Times e del Sun
al loro destino, lasciandole sole a cercare di rifarsi una reputazione e ricostruire le rovine», commenta Tom Watson, il deputato laburista che delle intercettazioni è stato una vittima, poi le ha inquisite come membro di una commissione d’inchiesta parlamentare e infine ha scritto un libro per motivate il suo «j’accuse» nei confronti dello Squalo. «Murdoch può scappare quanto vuole, ma non può più nascondere di avere creato una cultura che permetteva azioni criminose. Credo che i pochi complici che gli sono rimasti a Londra comincino a sentire aria di tradimento davanti a queste sue dimissioni, ennesimo tentativo di salvare la propria pelle e i propri soldi».
Ma riuscirà  a salvarsi? In ottobre, all’assemblea degli azionisti della News Corporation, 18 dei più grossi detentori di azioni chiederanno formalmente a Murdoch di lasciare del tutto l’azienda da lui fondata, dimettendosi dal ruolo di presidente per affidarla definitivamente alle «mani sicure» (come le chiamano i ribelli) di Chase Carey, l’attuale amministratore delegato.
«Rupert è come un uomo disperatamente aggrappato a una fune per non precipitare nel burrone sottostante», afferma Claire Enders della Enders Analysis, un esperto di media della City. «E’ come se qualcuno lo costringesse a sollevare un dito alla volta, fino a dover mollare la presa». La discesa nell’abisso è stata lenta, lunga un anno. Vedremo se la caduta finale sarà  più rapida.


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