Standard &Poor’s sospende il giudizio sulla Sicilia in rosso

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PALERMO — Nella Sicilia con i conti sotto osservazione, alla vigilia del vertice fra il premier Monti e il governatore Raffaele Lombardo, mentre le agenzie di rating accendono i riflettori e «Standard & Poor’s» sospende il suo giudizio a causa di informazioni insufficienti da parte della Regione, ecco l’ultima infornata di 2.300 assunzioni, compresi 40 precari che avevano lavorato appena un mese. 
Nell’isola dei 17.500 dipendenti regionali considerati il triplo di quelli necessari, sono proprio i vertici dei sindacati confederali a parlare di infornata «obbligata». A parte i 70, graziati in extremis con la scusa di evitare contenziosi, per gli altri si esulta all’esito di una estenuante trattativa che ha inglobato i dipendenti di tre società , compresa la Multiservizi, in una unica struttura, la Sas. Un modo per risparmiare, dicono, per garantire servizi necessari in uffici, ospedali e strutture collegate ad una Regione che in forza dell’autonomia provvede a tante competenze altrove svolte da dipendenti statali.
Ogni dubbio è legittimo davanti al disastro di 5 miliardi di debiti che ha portato tanti a suggerire al presidente del Consiglio di inviare un commissario per la messa a posto dei conti. Un’operazione-verità  invocata sia da Ivan Lo Bello per Confindustria, sia dall’Udc di Casini e Gianpiero D’Alia, con il via libera del Pdl e di Gianfranco Micciché. La risposta piccata di Lombardo, prima dell’incontro di martedì con Monti, culminerà  domani pomeriggio in un sit-in dei suoi fans autonomisti, pronti ad assediare la sede del commissario dello Stato, Carmelo Aronica.
«Aboliamo questa carica. Dimissioni. Ha violato lo Statuto», gridano il senatore Giovanni Pistorio e il capogruppo Mpa Nicola D’Agostino. Abolizione chiesta perché il Commissario «oltre a impugnare le leggi della Regione, dovrebbe impugnare leggi e regolamenti dello Stato…». Fendenti duri contro il funzionario che ritengono responsabile di aver confermato le accuse di Lo Bello e spinto il premier Monti a scrivere la durissima lettera di martedì scorso con cui Palazzo Chigi chiedeva al governatore conferma delle dimissioni annunciate per il 31 luglio. Una mossa pur irrituale letta come un invito a non ripensarci.
Giura ancora che se ne andrà  Lombardo, che lo farà  anche perché la Sicilia possa andare a votare con 6 mesi di anticipo a fine ottobre, aprendo così una rovente campagna elettorale dove perfino le assunzioni dell’ultima infornata potrebbero risultare utili.
Poi spara a zero contro chi parla di «declassamento», ma S&P non si accontenta della recente promessa di Monti di trasferire circa 400 milioni di euro alla Sicilia perché teme che serviranno a coprire pagamenti già  fatti. Una diffidenza dell’agenzia americana, ammorbidita dalle rassicurazioni dell’assessore all’Economia Gaetano Armao e dal ragioniere generale della Regione, Biagio Bossone: «Stiamo migliorando l’affidabilità  del debito e del livello del rating».
Resta la polemica adesso rovesciata sul commissario dello Stato, con disappunto del capogruppo Pd Antonello Cracolici: «Ma lo sanno che il commissario è un simbolo dell’autonomia? Non sanno quel che fanno. Sì, negli ultimi anni sembra più il rappresentate di Roma in Sicilia che una figura costituzionale super partes. Si può correggere, ma non abolire, rinunciando alla specificità  dell’autonomia».
E il presidente Pdl del parlamento siciliano, Francesco Cascio, possibile candidato alla successione di Lombardo: «Il commissario in questa partita non ha avuto alcun ruolo specifico. Non c’è una lettera a Monti. Ha semplicemente trasferito una copia del giudizio di parifica della Corte dei conti, senza commento. I numeri sono quelli. La situazione è difficile. Ma senza parlare di fallimento. È difficile come quella dello Stato centrale. Purtroppo non c’è nessuno in Italia che possa dire di stare meglio degli altri». Poi, criticando «l’attacco spaventoso e sproporzionato fatto contro la Sicilia», auspica che l’analisi dei conti sia una lezione: «Dobbiamo imparare, anzi, dobbiamo ricominciare a spendere i fondi comunitari, come accadde per dieci anni con Cuffaro, quando la spesa, al di là  dei giudizi su quantità  e qualità , era del 100 per cento, contro l’8 o il 9 di questi tempi».
Tempi di assunzioni ridotte, fatti salvi gli ultimi graziati che rischiano di alimentare le fiamme della polemica.


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