LE RAGIONI DI MOODY’S E LE COLPE EUROPEE

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Chi solleva il polverone però, non fornisce un’analisi chiara del problema, né proposte concrete per risolverlo. Prolifera invece la generica invocazione di una maggiore regolamentazione, ormai grande panacea di tutti i mali. Ma senza specificare quale, e perché sarà  efficace: così, di crisi in crisi, stiamo costruendo un moloch di norme, per poi constatare che le regole non bastano mai.
Nel caso delle società  di rating, il principale problema deriva dal loro abuso di rendite da oligopolio, garantite proprio dai governi che le criticano e, paradossalmente, dalla regolamentazione esistente. Il rating è un sistema sintetico che descrive la probabilità  di un
credit event: l’eventualità  che un titolo di debito non ripaghi interamente capitale e cedole. Sulla scala comunemente utilizzata ci sono 9 livelli prima del default: AAA, AA, A, BBB, BB, B, CCC, CC, C (ognuno con un più o un meno). A ogni rating corrisponde una probabilità  di credit event: in periodi di recessione, è nulla per AAA, sale all’1% per AA, quasi 3% per A, sopra 3% per BBB, 5% BB, 16% B, 43% CCC. Il rating è come le previsioni del tempo: se dicono pioggia, posso aspettarmi che piova 8 volte su dieci, non che pioverà  sicuramente. Il recente declassamento del debito pubblico e delle maggiori banche italiane, da A- a BBB, significa quindi circa un 3% di probabilità  di un credit event. Molto piccola, ma diversa da zero. Ragionevole? Sì. Perché le ristrutturazione del debito pubblico di un governo dell’Eurozona erano impensabili fino a poco tempo fa. Ma la Grecia ha creato un pericoloso precedente, stabilendo che un paese può ristrutturare il proprio debito senza uscire dall’euro. È crollato un tabù. E ne è crollato un altro quando la Bce ha chiesto che il debito subordinato delle banche spagnole, in gran parte collocato presso i risparmiatori, sia ristrutturato, con forti perdite.
L’Italia non è la Grecia, né la Spagna! Ma che la probabilità  che lo diventi sia del 3% mi sembra anche ottimistico. Il declassamento, pur indicando un aumento modesto delle probabilità , è un voto negativo agli sforzi del governo? No, perché il rating dell’Italia oggi non riguarda prevalentemente il rischio del paese in sé, quanto il rischio che l’euro imploda. Se accadesse, saremmo i primi a esserne colpiti, a prescindere dalle nostre politiche. Il gioco dipende più dagli altri, che da noi, come il ministro ha spiegato su queste colonne. Quindi il nostro declassamento indica un aumento della probabilità  di una crisi dell’euro. Anche questo è incontrovertibile.
Ma allora, perché il polverone? Perché la BBB è una soglia sotto la quale fondi di investimento, polizze, fondi pensione, casse previdenziali, gestioni patrimoniali non possono più investire. Lo impone la regolamentazione. E’ anche il rating minimo di un intermediario per operare. E con Basilea III pure il rischio dei prestiti è determinato sulla base del rating. Un ulteriore declassamento dell’Italia costringerebbe quindi la maggior parte degli investitori istituzionali a disfarsi del nostro debito pubblico. Con conseguenze catastrofiche sul suo prezzo. Quindi, si comincia a vendere oggi. La colpa non è delle società  di rating, ma del “valore legale” e vincolante attribuito dalla regolamentazione al rating. Oltretutto, questo conferisce alle società  che lo calcolano un monopolio legale. Per risolvere questo problema, basterebbe eliminare l’obbligatorietà  del rating, trasformandolo in un semplice servizio di consulenza a discrezione degli investitori, e rimettendo in capo ai gestori e alle istituzioni finanziarie la responsabilità  di decidere in quali obbligazioni investire o quali collocare. Non risolverebbe tutti i problemi del rating, come i potenziali conflitti di interesse; ma ne risolverebbe tanti. E promuoverebbe la concorrenza in un campo nel quale non ce n’è affatto.


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