I PAZZI SCIENZIATI: LITI, FOLLIE E FALSE CREDENZE DEI PREMI NOBEL

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 Uno degli stereotipi più diffusi sugli scienziati, è che siano un po’ fuori di testa. Al massimo, si discute se sono matti perché fanno gli scienziati o se fanno gli scienziati perché sono matti. Ma, in un caso e nell’altro, si accetta come assodato che la scienza e la pazzia siano legate a filo doppio. Come ultima conferma a questa ipotesi qualcuno potrebbe prendere la lite tra il premio Nobel James Watson, scopritore della struttura del Dna, e Craig Venter, nel congresso di Dublino di qualche giorno fa. Una sfuriata al padre della “vita artificiale” che ha visto Watson apostrofare senza motivo Venter: «Non è mio amico, non cambierà  il mondo ». D’altra parte Watson ha spesso uscite fuori dalle righe.
Eppure l’idea dello scienziato pazzo è uno stereotipo, effetto perverso del romanticismo, che ha efficacemente propagandato una visione distorta del ricercatore e della ricerca. Testi come Faust e L’apprendista stregonem di Goethe, Frankenstein di Mary Shelley, Lo strano caso del dottor Jekyll e mister Hyde di Robert Stevenson e L’isola del dottor Moreau di Herbert Wells, o film come Il dottor Stranamore di Stanley Kubrick e Ritorno al futuro di Robert Zemeckis, hanno presentato lo scienziato come uno svitato senza scrupoli, in preda a un delirio di potenza che lo spinge a imprese insensate e pericolose, che inevitabilmente finiranno di scappargli di mano e dal laboratorio. Questo stereotipo si basa su un doppio fraintendimento. Anzitutto, si scambia per un sintomo clinico la distrazione dello scienziato nei confronti delle banalità  quotidiane, che è soltanto la conseguenza della sua totale concentrazione su difficili problemi. E poi, si scambia per un disadattamento sociale il non conformismo dello scienziato nei confronti dei riti condivisi, che a sua volta è soltanto il prolungamento alle sere e ai weekend dell’abitudine lavorativa all’uso della logica. In sintesi, lo scienziato viene percepito come un matto semplicemente perché non lavora solo in orario d’ufficio, e non usa la ragione solo a ore o a giorni alterni.
Ciò detto, è ovvio che anche tra gli scienziati si possono trovare soggetti da internare e qualcuno a volte in manicomio c’è finito per davvero. Di esempi se ne trovano addirittura nell’albo d’oro dei premi Nobel, benché in numero così esiguo da poterli contare sulle dita delle mani: a dimostrazione del fatto che, almeno nella grande scienza, la pazzia è più l’eccezione che la regola.
Oggi l’esempio di scienziato pazzo più noto al pubblico è John Nash. La sua vita è stata raccontata, e ovviamente distorta, da un film di grande successo: A beautiful mind di Ron Howard, interpretato da Russell Crowe e vincitore di quattro Oscar. Dopo aver avuto un inizio sfolgorante di carriera, negli anni ’50, e aver ottenuto alcuni risultati fondamentali della teoria dei giochi e dell’analisi matematica, negli anni ’60 Nash cadde preda di una grave forma di schizofrenia, che lo portò a vari internamenti in cliniche psichiatriche. Negli anni ’70 era ormai ridotto a un barbone disoccupato, che si aggirava come un fantasma tra gli edifici dell’università  di Princeton. Ma negli anni ’80 ebbe un’inspiegabile e graduale remissione dalla malattia, e nel 1994 vinse il premio Nobel per l’economia per le sue ricerche
giovanili. Nash, che di certe cose se ne intende, mi ha detto una volta che «non è un buon segno che uno pensi e dica di sentire voci ». Dunque, non dev’essere un buon segno ciò che Kary Mullis, premio Nobel per la chimica nel 1993, pensa e dice nella sua autobiografia sul sito della Fondazione Nobel, e nel suo libro Ballando nudi nel campo della mente (Baldini e Castoldi, 2000). Quest’ultimo lo mostra sulla copertina in tuta da surf e con due conchiglie sugli occhi. Egli narra di incontri con alieni, esperienze con droghe e viaggi astrali e spazia dall’astrologia alla parapsicologia. Io stesso ho avuto l’occasione di sentirlo ad esempio negare il legame tra il virus Hiv e l’Aids, o affermare l’immediata urgenza di un ombrello nucleare contro gli asteroidi giganti in arrivo dallo spazio.
Per i suoi pensieri in libertà , che sembrano provenire da una mente coatta, Mullis è considerato “un imbarazzo” dalla comunità  scientifica. Un dubbio onore, che condivide con Brian Josephson, premio Nobel per la fisica nel 1973 a soli trentatré anni, per la scoperta del famoso “effetto tunnel”, fatta ben undici anni prima. Subito dopo questa scoperta, però, il genio precoce ebbe un esaurimento nervoso, che ne minò la stabilità  mentale. Da allora è divenuto una specie di paladino e difensore d’ufficio delle cause perse della scienza: la fusione fredda, la memoria d’acqua, la telepatia, il misticismo… E la sua homepage sul sito del Laboratorio Cavendish dell’università  di Cambridge è un delirante tazebao che vale la pena di visitare, per stupirsene e meravigliarsene.
Josephson è la versione fin de siècle di altri due premi Nobel inglesi per la fisica: Lord Rayleigh e Joseph Thomson, rispettivamente scopritori dell’argon e dell’elettrone, e vincitori nel 1904 e 1906. Entrambi si schierarono nel 1876 dalla parte del medium statunitense Henry Slade, nel processo per truffa intentato contro di lui da vari scienziati, esasperati dai tentativi di ammantare di scientificità  le sedute spiritiche. Il più acceso sostenitore dello spiritismo fu però William Crookes, scopritore del tallio e inventore del tubo a raggi catodici, che testimoniò di aver assistito all’evocazione dello spirito della figlia del pirata Henry Morgan, di averla fotografata e di essersene innamorato. Naturalmente, fu sommerso dal ridicolo, quando venne arrestata una signora che assomigliava come una goccia d’acqua alle foto della piratessa.
Dagli spiriti profani alle apparizioni sacre il cammino è breve. Lo percorse Alexis Carrel nel suo Viaggio a Lourdes del 1903, da lui raccontato nel libro in cui sostiene di aver assistito alla guarigione miracolosa di una signora. Nel 1910 Carrel tornò sul luogo del delitto e assistette a un’altra guarigione miracolosa, questa volta di un bambino. In realtà , il vero miracolato fu lui, perché lo scandalo provocato dalle sue dichiarazioni lo costrinse a emigrare dalla Francia al Canada, dove si dedicò all’agricoltura e all’allevamento. Ricevette poi un’offerta dall’Istituto Rockefeller di New York, e lì sviluppò le tecniche chirurgiche che lo condussero al premio Nobel per la medicina nel 1912. Carrel era un acceso sostenitore dell’eugenetica, che difese nel libro L’uomo, questo sconosciuto, e implementò da una posizione di potere durante il regime filonazista di Vichy: il suo collaborazionismo lo portò alla sbarra dopo la guerra, ma egli morì prima del processo. A proposito di scienza distorta, però, il caso più imbarazzante è sicuramente quello di Egas Moniz, premio Nobel per la medicina nel 1949 per aver scoperto “il valore terapeutico della lobotomia in certe psicosi”: cioè, una tortura da “medici del lager”, più che una cura. Da affiancare, in questo, ai coma insulinici indotti nei malati mentali, di cui fu vittima lo stesso Nash.
Il premio a Moniz è il caso di assegnazione dell’ambìto riconoscimento per ricerche scientifiche che si sono in seguito rivelate imbarazzanti. Da una dozzina d’anni il sito della Fondazione Nobel contiene un articolo di discussioni sul caso, intitolato
Una psicochirurgia controversa ha portato a un premio Nobel. Ci sono anche stati appelli per radiare retroattivamente Moniz dall’albo, finora rimasti senza risposta. Anzi, l’articolo citato afferma che le sue ricerche rientravano nello “spirito dei tempi”, e che egli meritava il premio anche indipendentemente dalla lobotomia. Questa è dunque, più o meno, la lista dei premi Nobel “matti da legare”, a cui si potrebbe aggiungere qualche altro nome borderline. Ad esempio, quello di Luc Montagnier, premio Nobel francese per la medicina nel 2008, per la scoperta del virus Hiv contestato da Mullis. Montagnier di recente si è affiancato proprio a Mullis, nel propagandare la “scienza patologica” dell’omeopatia, e al proprio connazionale Carrel, nell’affermare che «nei miracoli di Lourdes c’è qualcosa di inspiegabile». Ma l’aspetto più interessante di questa esigua lista è che essa dimostra come gli unici scienziati veramente matti siano, in fondo, quelli che la pensano in modo un po’ troppo comune sugli argomenti più svariati e sciocchi: dagli alieni alla telepatia.


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