Severino e il Colle intercettato: «Le telefonate restino segrete»

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ROMA — Il ministro della Giustizia, Paola Severino, e il procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso, stendono una rete protettiva nei confronti del capo dello Stato, Giorgio Napolitano, che ha sollevato presso la Corte costituzionale il conflitto di attribuzione nei confronti della Procura di Palermo che indaga su una presunta trattativa tra lo Stato e Cosa nostra. La prima sostiene che il capo dello Stato deve essere tutelato, il secondo difende i pm palermitani ma nega che il Colle abbia voluto interferire. Questo avviene mentre Antonio Di Pietro sferra un durissimo attacco a Napolitano accusandolo di «mortificare le istituzioni», attacco al quale replica dal Pd Pier Luigi Bersani: «Ho trovato alcune affermazioni verso Napolitano veramente indecenti perché tutti sanno che Napolitano non ha alcuna ragione per difendersi personalmente». Mentre dal Pdl parla Fabrizio Cicchitto: «Di Pietro è sguaiato e inqualificabile ed è seriamente e organicamente eversivo, ma non da oggi». Il segretario democratico allarga lo sguardo al tema delle regole in materia di intercettazioni e spiega: «Se noi fossimo in uno stato di polizia o non democratico non accetteremmo l’ipotesi di un uso distorto delle intercettazioni e quindi non vedo perché dobbiamo accettarlo in uno stato democratico. Nessuno impedisce ai magistrati di fare il proprio lavoro con le intercettazioni necessarie e alla stampa di pubblicare quelle oggetto di un percorso giudiziario. Ma in mezzo ci dev’essere un filtro affidato ai magistrati per tutelare chi non c’entra». La decisione del Colle non è piaciuta a Rita Borsellino: «Mi sento stordita, come se fossi stata schiaffeggiata. Il gesto di Napolitano? Francamente inopportuno, non era il momento».
Poche ore prima il Guardasigilli, in missione a Mosca, aveva chiarito: «Qualunque sia la decisione della Consulta sul conflitto di attribuzione nella vicenda delle intercettazioni telefoniche dell’inchiesta di Palermo, l’importante è mantenere la segretezza delle telefonate del capo dello Stato». Anche Grasso rileva che «il presidente della Repubblica non può essere intercettato, lo è stato in modo occasionale». In ogni caso, aggiunge Grasso negando ci si trovi di fronte a un conflitto istituzionale, «la questione è giuridica. Il nostro ordinamento non prevede una norma specifica. È giusto che un giudice terzo decida come bisogna comportarsi in questi casi». Poi prende le difese dei pm: «Hanno agito in buona fede. Ora la questione è in buone mani, deciderà  la Consulta».
Severino insiste sulla necessità  di «mantenere la segretezza intorno al contenuto di telefonate che possano riguardare figure istituzionali protette per il loro ruolo istituzionale». Ed ecco il punto: «Qualsiasi sia la soluzione interpretativa, l’adozione di regole di procedura penale o la legge sulle garanzie applicate al capo dello Stato, si dovrà  rispettare la sostanza della legge che è quella di evitare che conversazioni del capo dello Stato possano essere rese pubbliche». In ogni caso, «se si è trattato di una intercettazione casuale si poteva fare. Ma il tema non è questo: il problema è se debba avere prevalenza una certa interpretazione della legge costituzionale che riguarda le garanzie del presidente o si debba applicare la normativa comune in materia di utilizzazione e utilizzabilità  delle intercettazioni». Insomma, riassume il Guardasigilli, «non c’è alcuna contrapposizione tra poteri dello Stato».
L’Italia dei valori attacca Napolitano. Scrive sul suo blog Antonio Di Pietro: «Si rende conto che una scelta così drastica non nobilita le istituzioni ma le mortifica? Noi dell’Idv invitiamo i giudici di Palermo a “resistere, resistere, resistere”». Replica Anna Finocchiaro (Pd): «La scelta del Colle di sollevare il conflitto di attribuzione è un gesto opportuno e doveroso che non lede le prerogative di quella Procura che sta indagando su una vicenda molto delicata sulla quale vogliamo tutti sia fatta piena luce».


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