«La direzione è giusta Ora si osi sulla qualità »

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ROMA — «Questo è un momento di cambiamento per la Rai, un cambiamento che va nella direzione giusta, anche se per me ancora parziale perché la Rai avrebbe bisogno di un altro modello di governance, cioè di un cda di cinque persone nominate dai presidenti di Camera e Senato sulla base di requisiti indiscutibili, che si riunissero tre volte all’anno per decidere le cose fondamentali, e di un amministratore delegato, che possa svolgere imparzialmente la funzione di guida dell’azienda». Parla così Walter Veltroni, che ha qualche consiglio da dare alla nuova dirigenza della Tv di Stato.
Tarantola e Gubitosi debuttano ora.
«Il loro è un ticket che da tutti è riconosciuto come espressione di una fase nuova. E proprio ora che cominciano il loro lavoro, io mi permetto di fare qualche riflessione, non da uomo politico ma da appassionato della televisione e da persona che, per ragioni di famiglia, è nata con la Rai nel sangue. Dunque, la prima cosa che di solito fanno i nuovi gruppi dirigenti è arrivare in un’azienda e cambiare i vertici, quello che mi piacerebbe si facesse questa volta è capire che cosa deve essere la Rai. La Rai è un’azienda sovvenzionata dal canone. Se la Rai prende il canone deve restituire ai cittadini qualcosa e questo qualcosa può essere solo la qualità ». 
Non starà  proponendo la tv pedagogica?
«Esattamente il contrario. Mi riferisco a quel concetto di qualità  che per me è perfettamente riassunto in una trasmissione come Quelli della notte di Arbore, che è durata due mesi e che pure è rimasta nella storia della televisione. Qualità  significa apertura, ricerca, sperimentazione. La Rai ha vissuto uno spaventoso processo di omologazione in questi anni. Si è trasformata, assomigliando — il caso più evidente sono certi reality — alle reti di Berlusconi in una indistinzione che alla fine mette in discussione la stessa diversità  della tv di Stato, suggellata dal pagamento del canone. Da quanto tempo in Rai non si pensa cos’è fare una rete televisiva, cos’è fare programmazione? In fondo l’ultimo grande progetto è stato quello della terza rete di Guglielmi: una rete al contempo colta e popolare, come dovrebbe essere la Rai. Ma da allora è come se si fosse fermata una stagione di elaborazione e si è diffusa l’idea che la televisione sia sostanzialmente un gigantesco talk show o una forma di intrattenimento più rivolto alla quarta età  che al complesso della popolazione. Agli inizi degli Anni 60, con il famoso concorso dei corsari, entrarono in Rai Eco, Vattimo, Colombo: perché la Rai oggi non fa qualcosa di simile per chiamare attorno a sé, in una specie di consiglio per la qualità , il meglio dell’intellettualità  e della nuova produzione culturale italiana? C’è bisogno di figure editoriali, non solo giornalistiche. La Rai ha bisogno di inventare, non può proseguire a fare i programmi che ha fatto in questi anni, stancamente, fidando sul fatto che il principale concorrente, Mediaset, è invecchiato drammaticamente continuando a fare la stessa tv di 20 anni fa. Bisogna faticare, creare, innovare linguaggi». 
Lei sta chiedendo a Tarantola e Gubitosi di fermarsi a riflettere prima di agire.
«Io sto chiedendo: fermatevi a pensare alla qualità . Oggi si fanno solo format, parola che a me fa venire il mal di fegato, cioè, in questa specie di globalizzazione militare, si importano modelli televisivi dall’esterno. Oggi i programmatori televisivi sono convinti che più in basso si scende più pubblico si trova. Io non sono affatto convinto di questo. Faccio tre esempi a questo proposito. La Divina Commedia di Benigni ha fatto 13 milioni di spettatori, Fazio e Saviano su Rai 3 quasi dieci milioni, la fiction su Borsellino otto milioni. Non bisogna avere paura di volare in Rai».
Quali sono i programmi più innovativi di quest’ultimo periodo?
«Purtroppo non sono della Rai. Il più bello è un programma di Mtv che si chiama Il Testimone. Nel campo dello sport, su Sky c’è È sempre calcio mercato di cui ha parlato positivamente Grasso. Sempre su Sky Aniene di Corrado Guzzanti. Già , perché in tv non basta mettere una sedia e un tavolino e si è fatta televisione».
Non salva niente della Rai degli ultimi anni?
«La Rai ha fatto anche delle belle trasmissioni ma senza una idea guida. La tv moderna è fatta di racconto, di eventi, di capacità  di coniugare continuamente “alto e basso” in una tensione creativa alta. Ma vorrei dire un’altra cosa: quello che la Rai ha da restituire al Paese per il canone che percepisce è anche il sostegno all’industria culturale italiana. La Rai di Bernabei produceva Fellini, Antonioni, Rossellini e Bertolucci. Quando ero ministro facemmo una piccola norma secondo cui le tv private e pubbliche dovevano destinare una parte delle risorse alla produzione di fiction e cinema europei. La Rai non può rinunciare a questo».


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