Un punto e mezzo di Pil dalle riforme ma l’Italia di Monti è il Sud d’Europa

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La via di uscita alla crisi c’è. Si comincerà  a vedere già  nel 2013, poi nel 2014 le riforme di Monti faranno effetto a pieno procurando una crescita media del Pil italiano dell’1,5%. Lo sostiene uno studio di Ernst&Young, che però avverte: per ritmo della ripresa, posti di lavoro e crescita, l’Europa viaggia a due velocità , con i Paesi del Nord che continuano a essere avvantaggiati ancora 18 mesi. Dopodiché «i provvedimenti del governo Monti proietteranno i loro effetti positivi sull’economia italiana ». Benefici che si concretizzeranno nel 2014 e che consentiranno «il ritorno ai livelli pre-crisi, con una crescita del Pil italiano superiore ai tassi registrati nell’ultimo decennio». E già  nel corso del prossimo anno, l’inversione di tendenza si potrà  misurare con la ripresa di consumi, esportazioni e riduzione del rapporto deficit/Pil.
A guardarlo con l’ottica del bicchiere mezzo pieno si può dire che il rapporto pubblicato ieri da Ernst&Young, primaria società  di consulenza economica a livello globale, faccia intravedere la luce in fondo al tunnel. Del resto, il senso della ricerca, intitolata “Eurozone Forecast”, è proprio questo: ci sarà  ancora da soffrire ma, con i dovuti aggiustamenti, agganciare la ripresa è possibile. «La formazione di un nuovo governo in Grecia ha allontanato le preoccupazioni circa la rottura dell’Eurozona». Anche se «l’economia è destinata a peggiorare prima di giungere a una fase di debole ripresa durante il 2013».
SPESA PUBBLICA GIU’
Il rapporto è una promozione per i provvedimenti del governo. Se è vero che «il pil italiano avrà  nel 2012 una riduzione del 2,3%, con una revisione al ribasso rispetto al precedente dato del meno 1,6%» e che «la crescita sarà  negativa anche nel 2013», gli analisti di Ernst&Young diventano ottimisti per il dopo: «Nel 2014-16, la crescita del Pil italiano sarà  in media dell’1,5%, al di sopra della media pre-crisi dell’1,2 grazie agli effetti della riforma strutturali che andranno gradualmente ad alimentare
l’economia». Le riforme, sempre dal 2014, avranno un effetto positivo sia sul rapporto deficit/ pil, sia su quello debito/Pil. E persino la spesa pubblica finirà  di contrarsi, per tornare a salire a partire dal 2015.
I RISCHI
Ma il cammino è ancora disseminato di ostacoli. Ad accrescerli hanno contribuito «le prospettive
di politica interna aggravate in seguito alle ammini-strative di maggio, con il conseguente rischio che le riforme possano essere rinviate». L’altro aspetto che frena la ripresa è il costo del debito pubblico. Perché «comporta un aumento significativo dei rendimenti dei titoli di Stato e un forte calo della fiducia dei consumatori e imprese, che contribuirà  alla contrazione
della domanda interna ». Ma questo – si legge sempre nello studio – non è tanto colpa dei provvedimenti presi dal governo, che ha fatto quello che doveva fare. Il problema è che nella Ue «la crescita è lontana dall’essere consistente fra gli Stati membri e si evidenzia sempre più un ampio gap tra i Paesi del nord rispetto a quelli del sud, disparità  che si è accentuata negli ultimi 18 mesi».
LA DISOCCUPAZIONE
Il problema più grave rimarrà  la ricerca di lavoro. Come si legge nella tabella pubblicata in questa pagina, il tasso di disoccupazione in Italia dopo aver toccato l’11,2%, inizierà  la sua discesa, ma tornando ai livelli del 2011 solo fra quattro anni. «Gli elevati tassi di disoccupazione nelle economie periferiche, soprattutto tra i giovani, è a un livello tale da minacciare la stabilità  sociale». La situazione è poi ulteriormente complicata da quello che Riccardo Paternò, docente di Economia a Napoli e presidente di Ernst&Young Business School, ha scritto nel suo commento ai dati: «L’Europa ha scelto la strada del rigore impossibile. E imporre “fiscal compact” severi a Paesi in difficoltà  non alleggerirà  gli spread e creerà  solo ulteriori diseguaglianze ». Paternò lo spiega così: «Non è possibile avere una moneta unica e, insieme, tante e diverse politiche fiscali. Significa che da un lato ci sono Paesi che godono di un cambio favorevole. Invece quelli che lo hanno sfavorevole non possono porvi rimedio e devono anche compensare – con politiche fiscali restrittive – i disavanzi che il cambio sfavorevole determina attraverso la penalizzazione del Pil».
LA SOLUZIONE
Per tutti questi motivi, il report invita «i leader politici e finanziari dell’Euro a governare in maniera più determinata e concentrata di quanto abbiano fatto negli ultimi due anni. Il tempo del dibattito è finito e si fa sempre più pressante la necessità  di azioni». Capito frau Merkel?


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