Spread

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Nella settimana tra l’1 e l’8 di quel mese, per dire, non era stato citato nemmeno una volta sulle pagine de La Repubblica.
Oggi (purtroppo) il mondo è cambiato e lui — schizzato nel frattempo di 300 punti — è dovunque, come un incubo a tre cifre. Apri gli occhi la mattina e il giornale radio delle sette ti informa — caso mai non avessi già  controllato tu su Internet — come ha passato la notte, se è cresciuto o meno e dove dovrebbe andare in giornata. Sfogli i giornali e spunta in ogni pagina (tra l’1 e l’8 luglio di quest’anno su queste colonne è stato citato 73 volte). I palinsesti televisivi — tra vertici Ue e borse in tilt — sono diventati una sorta di “Tutto lo spread minuto per minuto” 24 ore su 24. E persino ai tavolini dei bar, con la gente che non sa più dove mettere i suoi risparmi, si parla più del suo stato di salute che di calcio mercato.
Il segreto del suo successo, senza bisogno di scomodare gli esperti di (n) euro-finanza, è semplice: di economia, tassi, valute & C. capiamo tutti poco. Salvo intuire che per motivi a noi poco chiari (ce l’ha ricordato pure Confindustria) siamo sull’orlo di un abisso. Lo spread è l’unico salvagente comprensibile e di facile lettura cui aggrapparci per capire se stiamo per cadere nel vuoto o se per caso siamo riusciti ad allontanarci di qualche metro dal ciglio del burrone. Un numero che ci dice quanta febbre abbiamo, come i gradi del termometro. Come va? «Bene, ho lo spread a 300». Tutto ok? «Ma scherzi, non vedi che ho lo
spread a 475?».
TRE CIFRE DA BRIVIDI
Ma è davvero un termometro attendibile?
Purtroppo sì.
Ogni punto in più dello spread significa gli italiani devono pagare nei tre anni successivi 120 milioni di euro in più di interessi sul debito tricolore. I trecento punti di rialzo segnati nell’annus horribilis della spreaddite acuta ci sono già  costati carissimi: nel primo trimestre del 2011, quando nessuno si filava di pezza il differenziale con i Bund (allora a quota 140), i Btp decennali rendevano il 4,8% mentre a inizio 2012 viaggiavano attorno al 6%. Risultato: lo Stato italiano ha pagato tra gennaio e marzo dello scorso anno 16,1 miliardi di interessi, una bolletta che la corsa dello spreaddometro ha spedito nel 2012 a 18,7 miliardi, il 16% in più. Il governo Monti ha già  messo le mani avanti. E il Documento di economia e finanza di quest’anno vaticina un’impennata da 78 a 84 miliardi del conto per onorare la nostra esposizione.
Peccato che con il nostro eroe a quota 475, questi conti rischino di essere sottostimati. E in assenza di contromisure come lo scudo anti-spread, è probabile che l’esecutivo debba rivedere in peggio le sue stime nella revisione di settembre, trovandosi così costretto a cercare nuovi fondi per tappare l’ennesimo buco.
CACCIA AI COLPEVOLI
Ma perché sale lo spread? Un po’ (un bel po’, ammettiamolo) è colpa nostra. L’Italia ha accumulati per anni debiti come una cicala. L’esposizione dello stato è arrivata quasi a 2mila miliardi di lire, il 20% in più del Pil. E chi ha
tanti debiti, succede sempre, deve pagare tassi più alti ai creditori che tendono a fidarsi di meno. Di tempo per prevenire la “spreaddite”, in teoria, ne avremmo avuto molto. Il duro lavoro di Romano Prodi e Carlo Azeglio Ciampi che ha consentito a Roma di agganciare l’euro aveva fatto scendere il differenziale con i Bund dai 675 punti del 1995 ai pochi centesimi del ‘98. Fino a quel magico 23 dicembre di quell’anno quando per qualche istante, come in un mondo capovolto, il tasso sui Btp decennali era stato inferiore di quattro centesimi a quello dei bund.
La Cuccagna è durata a lungo: per tutti i primi anni del terzo millennio, lo spread è rimasto stretto in un canale strettissimo tra i 30 e gli 80 punti. Peccato che invece di approfittare dei tassi bassissimi per far ordine in casa, l’Italia ha continuato ad accumulare debiti. Trovandosi oggi costretta a far quadrare il bilancio con i rendimenti dei Btp al 6%. Il bello è che ad avvantaggiarsi, piove sempre sul bagnato, è proprio la fortissima Germania. La fiducia nel nostro paese cala, l’austerity provoca recessione che porta nuova austerity, in un circolo vizioso che convince molti a spostare i loro capitali verso Berlino. Morale: oggi la Merkel finanzia il debito nazionale emettendo Bund a cinque anni con interessi allo 0,5%. Significa che al netto dell’inflazione chi li compra perde soldi, ma lo stesso c’è la fila per acquistarli. E a pagare il conto sono pure le imprese tricolori, costrette a pagare alla banche tassi simili a quelli dello Stato italiano, mentre i loro rivali teutonici ricevono denaro in prestito al 2-3%.
L’OMBRA DELLA SPECULAZIONE
Ok, i nostri conti non sono in ordine. Ma lo stesso lo spread — alla luce dei fondamentali della nostra economia — dovrebbe razionalmente viaggiare attorno ai 200 punti, ha spiegato Visco. Perché è a più del doppio? Qui entra in campo la speculazione. La finanza viaggia ormai in una galassia lontana mille miglia dalla realtà . I derivati in circolazione sono una bomba ad orologeria pari a 10 volte il pil mondiale. E solo in percentuale ridottissima (il 3% per quelli in portafoglio alle banche europee) sono utilizzati per il loro obiettivo iniziale, proteggere dal rischio. Il resto è una montagna d’oro di pura speculazione. Migliaia di miliardi puntati come in una roulette — con grande cinismo — sulla sopravvivenza o meno di uno stato. Scommesse gigantesche che amplificano le oscillazioni dei mercati oltre i valori ragionevoli del buon senso e dove una variazione di un basis point significa guadagni o perdite milionarie. Morale: se l’Italia appare debole (anche se a livello di avanzo primario è uno dei paesi più sani d’Europa), gli squali dei derivati vendono Btp a piene mani facendo schizzare all’insù i nostri rendimenti. E da 200 voliamo a 475 oppure ai 575 di novembre scorso, costati la poltrona da premier a Silvio Berlusconi.
Difendersi dalla potenza di fuoco della speculazione è impossibile per un singolo paese. Una sola banca d’affari Usa, la Jp Morgan ha perso 8 miliardi giocando sui derivati con il “piccolo” portafoglio (una frazione dei suoi asset) utilizzato per il trading in proprio. Un mini-salvadanaio da 350 miliardi, più del pil della Grecia! E se mai Berlino darà  l’ok allo scudo salva-spread, incaricato di raffreddare a suon di acquisti i rendimenti dei titoli italiani e spagnoli, qualcuno dubita che possa essere davvero efficace con i 350 miliardi che oggi ha a disposizione. E se super-spread continuerà  a farla da padrone sui mercati europei, Roma — dicono le Cassandre — rischia di non arrivare viva a festeggiare il suo secondo compleanno.


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