Da Amburgo a Buenos Aires virtù e vizi di una rivoluzione
La “gentrification” ha già cambiato il volto delle nostre città e continuerà a farlo. Ma c’è qualcosa di più profondo dietro questa parola dal suono gentile che spesso nasconde una realtà brutale. È la realizzazione di un nuovo spazio di potere che si incastona in una rete mondiale di città . E ad avere più bisogno di occupare questi spazi sono proprio le multinazionali. Che arrivano così ad accumulare quello che io chiamo “capitale di conoscenza urbana”: la formazione cioè di un tipo di rete di conoscenza che nessuna azienda può comprare. Questo spazio conquistato è uno spazio strategico. All’apparenza è uno spazio “gentrificato”: con nuovi edifici costruiti con gusto, appartamenti, uffici, ristoranti, locali, altri servizi, etc. dove tutto è più costoso e prende il posto prima occupato da imprese dal profitto più basso e da famiglie con un reddito più modesto. Dietro la realizzazione di questo spazio di potere, si nascondono la privatizzazione e la deurbanizzazione di gran parte dei centri cittadini e di altre importanti aree storiche di grande pregio. Questo non significa solo lo sfratto di imprese e famiglie, ma anche, in casi più estremi, la formazione di nuovi senzatetto.
C’è addirittura un’ultima tendenza – la cosiddetta “super prime del mercato immobiliare” – che vede ora i super ricchi acquistare case in città come Londra, Zurigo, Parigi, Hong Kong e rilevarle dai ricchi “normali” per farne grandi dimore. Questo trend va oltre la gentrification. Tuttavia, dietro questa parola, che andrebbe un po’ rivista e ampliata nel senso, non si nascondono solo conseguenze negative, se il risultato di questo processo non è l’espulsione delle persone dai loro quartieri. Zone residenziali, che oggi sono viste come una forma estrema di gentrification, sono all’origine di spazi urbani che ammiriamo profondamente. Dobbiamo ricordarci che la gestione privata e controllata cambiò il volto dei sobborghi della Parigi di inizio Ottocento, una città oggi considerata un esempio per la sua urbanistica.
Però in molte metropoli diverse tra loro come Lagos, Buenos Aires, Johannesburg si espandono zone residenziali che diventano rifugi di élite in cerca di sicurezza. Questi recinti urbani nelle città globali possono essere considerati come un particolare assemblaggio di
pezzi di territorio, autorità e diritti concentrati in un’ampia zona della città . Tali comunità elitarie sono sempre più parte di quelle che altrove ho definito come le geografie di centralità che connettono tra loro i centri del potere del mondo e tagliano
via tutto il resto riproponendo per certi versi l’antico divario Nord-Sud.
Ma per arrivare a un esempio positivo, invece, voglio citare il progetto Iba di Amburgo. Nella città tedesca, un gran numero di unità abitative ad affitto basso, occupate da cittadini dal reddito modesto, sono state migliorate con un costo aggiuntivo per i residenti di soli tredici centesimi per metro quadro. A tutti è stato chiesto di lasciare gli appartamenti nel corso dei lavori, ma adesso gli abitanti sono tornati nelle loro case. I cittadini di Amburgo, attraverso il loro governo, hanno impiegato 78 milioni di euro per migliorare e rinnovare migliaia di appartamenti in una zona non ricca e azzerarne le emissioni di anidride carbonica. Non è stata una ditta privata a realizzare tutto questo, ma il governo. Si tratta di gentrification? A guardare gli appartamenti ristrutturati, gli spazi pubblici, gli alberi intorno, si direbbe di sì, ma non lo è. È la possibilità di far vivere in un modo migliore, e con maggiori benefici, i cittadini meno privilegiati, residenti in un’area degradata. Il costo degli affitti per metro quadrato oscilla tra gli 8,29 e gli 8,42 euro. Ecco, questo è un modello di crescita che andrebbe seguito. Si tratta di un piccolo inizio, è vero. Ma rappresenta un esempio di ciò che può essere fatto. E non è gentrification.
(Testo raccolto da Dario Pappalardo)
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