Ciak Cinecittà , addio al passato ma i lavoratori non ci stanno sulle proteste
ROMA. Titoli di coda su Cinecittà . Sui piazzali, sotto il sole, dove ancora campeggiano le scenografie del kolossal sulla Roma imperiale che l’americana Hbo è venuta a girare qui, dove Fellini diresse, nel leggendario “Teatro 5”, tanti pezzi memorabili di storia del cinema, dove Martin Scorsese ha dato vita alle sue Gangs of New York, oggi non c’è nessuno.
Le porte degli Studios sono sbarrate: non si girano ormai più di cinque film in un anno, si fa “solo” televisione e un po’ di pubblicità . La crisi morde. All’interno della mitica “Città dei sogni” oggi riecheggiano le voci della protesta, quelle dei lavoratori che vedono il loro impiego a rischio e che da giorni ormai dormono sul tetto degli studios. Sì, perché Cinecittà è diventata il simbolo di un mondo, quello del cinema, che sta vivendo una trasformazione senza precedenti ma è anche una realtà industriale che sconta la sua natura “ibrida”, in cui si incrociano cioè vita e sorti di 220 dipendenti — le “maestranze”, tutti operai, muratori, elettricisti, fonici — con quelle di un’azienda che, già dal 1997 è puramente privata e dunque regolata dalle logiche economiche di investimenti e profitti.
Il futuro di Cinecittà è infatti legato al «piano di sviluppo» che vuole farne un hub internazionale, ovvero trasformare i vecchi studi per arricchire l’offerta mettendo a frutto le strutture, per esempio costruendo un albergo (con servizi per chi viene a girare), camerini, un moderno teatro di posa, una zona ristorazione, uffici di produzione, parcheggi. Un progetto complesso ma ben definito che circola da tempo e su cui c’è il placet del ministero dei Beni culturali, da realizzare con un investimento iniziale di 60-70 milioni di euro, recuperabili attraverso project financing. Di pari passo con la riorganizzazione strutturale c’è quella del personale, ciò che i sindacati chiamano “lo spacchettamento” dei lavoratori, un complicato mosaico di trasferimenti, fra società varie tutte collegate, come la “Cinecittà allestimenti e tematizzazioni”, il “Cinecittà district entertainment” e la “Cinecittà Digital Factory” che si occupa di post-produzione ovvero sviluppo e stampa digitale e audio.
I lavoratori temono di finire su un binario morto, di essere trasferiti in piccole società che lavorano a contratti temporanei, per ritrovarsi pian piano congedati. Dall’altra parte si ribatte che questo è il solo modo di garantire loro il lavoro, in un momento così. L’azienda Cinecittà si trincera dietro il più classico «niente da aggiungere » rispetto ai comunicati pubblicati a pagamento sui quotidiani nei giorni scorsi, «almeno fino a quando le trattative sindacali non saranno concluse». Posti di lavoro e profitti aziendali: ma c’è dell’altro se la lotta per la difesa di Cinecittà è arrivata proprio in queste ore a coinvolgere tanti nomi che, dentro gli studi romani hanno fatto la storia del cinema. Ieri mattina a sostenere i lavoratori in sciopero è arrivata una delegazione di registi. Fra loro anche Ettore Scola, il maestro di Una giornata particolare,
girata proprio qui: «Ai cittadini bisogna far capire che qui si parla di loro, dei loro interessi. Che se si smantella Cinecittà e se si lascia sbriciolare Pompei, quello che si sgretola è il loro stesso patrimonio, qualcosa che viene tolto ai loro figli. La crisi è una copertura per un disegno politico che coincide con un impoverimento del cittadino, con la definizione di un pensiero unico, privo di capacità di critica».
Scola e tanti altri fra cui Citto Maselli, Ugo Gregoretti, Pasquale Scimeca, hanno sottoscritto un appello per il presidente Giorgio Napolitano «perché Cinecittà e l’Istituto Luce tornino ad essere punto di riferimento produttivo del cinema mondiale e restituiti a quel ruolo di pubblico volano per il rinnovamento e il rilancio del cinema italiano». Tra le firme, quelle degli autori Gianni Amelio e Marco Bellocchio, Bernardo Bertolucci e Roberto Faenza, Giuseppe Tornatore e Nino Russo ma anche i nomi di Ken Loach, Bertrand Tavernier, Costantinos Costa Gavras, Vanessa Redgrave. Dal tetto di Cinecittà occupata, i lavoratori ringraziano.
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