Calvario in mare per 54 immigrati

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ROMA — Erano partiti da Tripoli a fine giugno alla volta del-l’Italia. Non ci sono mai arrivati. E mai ci arriveranno. Sono morti tutti tranne uno i cinquantacinque immigrati, per la maggior parte eritrei, stipati su un gommone che due settimane fa era salpato dalle coste libiche.
Un solo superstite, vivo per miracolo, che ora può raccontare quei quindici giorni di agonia. Nella notte tra lunedì e martedì, l’uomo è stato avvistato da alcuni pescatori al largo della costa tunisina. Era aggrappato, con le poche forze rimaste, ai resti del gommone e a una tanica. Immediata la chiamata alla Guardia Costiera locale
che lo ha messo in salvo. L’uomo, di nazionalità  eritrea, è stato portato all’ospedale di Zarzis, località  di mare non distante dal confine libico, e ricoverato per assideramento e disidratazione.
È stato lui a raccontare agli operatori dell’Alto commissariato delle Nazioni unite per i Rifugiati (Unhcr) che ieri gli
hanno fatto visita, questa tragedia, l’ennesima, in mare. Un dramma, sentito già  tante, troppe, volte in cui lui stesso ha perso tre familiari. Ai funzionari dell’Onu ha detto di essere partito da Tripoli alla fine di giugno. Erano 55, per la maggior parte eritrei. Rimane solo lui. Degli altri non c’è traccia.
Erano partiti da un giorno quando si sono iniziate a intravedere le coste italiane. Un momento di sollievo, il futuro in cui speravano sembrava prendere forma, lì ad un passo. Ma era solo un miraggio: il vento forte li ha spinti indietro, verso il largo. E non c’era verso di riavvicinarsi.
I giorni passavano, la terraferma ormai era sparita dall’orizzonte e il gommone iniziava a sgonfiarsi. A bordo non c’erano cibo né acqua. Molti hanno bevuto acqua salata. La disidratazione è stata inevitabile. Uno dopo l’altro sono morti tutti.
A dare l’annuncio «con grande rammarico» del naufragio è stato l’Alto Commissariato che ha anche lanciato una richiesta di aiuto. «È una vera tragedia
ha detto il vice alto commissario Alexander Aleinikoff – Mi appello ai comandanti delle imbarcazioni affinché prestino la massima attenzione a possibili casi di migranti e rifugiati in difficoltà  che necessitano di essere soccorsi. Il Mediterraneo rappresenta una delle vie di mare più trafficate del mondo ed è imperativo che la tradizione, nel tempo onorata, di soccorso in mare sia mantenuta». Così anche il ministro per la Cooperazione, Andrea Riccardi, che ha auspicato che «tutti i paesi d’Europa e quelli che affacciano sul Mediterraneo rafforzino il dialogo e le politiche di cooperazione con i paesi delle sponda sud, specie con i nuovi governi nati o che stanno nascendo dopo la primavera araba».
Una rotta maledetta quella che da Tripoli porta all’Italia. Dall’inizio del 2012, secondo le stime dell’Unhcr, sono già  170 le persone che hanno perso la vita in mare, sognando di raggiungere l’Europa. Circa mille e trecento, invece, ce l’hanno fatta. Altre mille, a bordo di 14 diverse imbarcazioni, sono approdate a Malta. E in tutto gli sbarchi in Italia sono stati 4.500. Già  ieri sera è stata avvistata un’altra imbarcazione, partita dalla Libia con destinazione Italia. A bordo somali ed eritrei, anche loro, con ogni probabi-lità , in fuga dalla Libia. Da dove, in centinaia, in gran parte provenienti dall’Africa sub-sahariana, continuano a salpare. Lunedì, ha spiegato l’Alto Commissariato, il gruppo ha rifiutato il soccorso delle forze militari maltesi.


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