“Lo sconosciuto” così magnus disegnò il suo autoritratto

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Torna Lo Sconosciuto, il personaggio con l’incubo del proprio passato e un futuro senza troppe speranze. È l’antieroe creato nella metà  degli anni Settanta da Roberto Raviola detto Magnus, uno dei grandi artisti del fumetto italiano, subito dopo aver rotto il lungo sodalizio con Bunker (insieme avevano dato vita a Kriminal, Satanik, Maxmagnus, e poi il più famoso di tutti: Alan Ford). The Unknow (scritto così, senza la enne finale), cioè Lo Sconosciuto, è un personaggio atipico: per nulla simpatico, per nulla comunicativo, non cerca affatto le grazie dei lettori. Ha un passato così duro da non avere pietà  per nessuno, se stesso in primo luogo. Coinvolto in intrighi internazionali, conosce le storture di un’economia mondiale basata sul controllo politico e sulla guerra. Il personaggio riflette un momento per nulla facile anche per il suo autore che, negli anni dell’esplosione del fumetto d’autore, trovava la sua libertà  creativa con l’Edifumetto, casa editrice famosa per gli albetti eroticopornografici (allora molto popolari). In questa nuova edizione di lusso e integrale (Rizzoli-Lizard, pagg. 416, euro 25) troviamo dunque i sei primi episodi degli anni Settanta, quelli degli anni Ottanta voluti da Luigi Bernardi per il mensile Orient-Express e infine quelli apparsi sul settimanale Comix negli anni Novanta (dell’episodio Lo spettro di Tezca, mai realizzato, ci sono gli appunti di sceneggiatura). Ma c’è un retroscena poco noto sulla nascita dello Sconosciuto e della sua prima avventura: a questa collaborò, sia pure in forma del tutto amichevole, Francesco Guccini. 
Guccini, come ha conosciuto Magnus?
«Credo sia stato alla fine degli anni Sessanta inizio anni Settanta, in giro in certi locali di Bologna. Questo è il ricordo che ho. Seguivo soprattutto i fumetti di quello strambo detective…».
Alan Ford.
«Sì. Kriminal e Satanik non mi avevano mai attirato. Invece Alan Ford mi piaceva abbastanza, anche se non apprezzavo tutto delle sceneggiature. Comunque Magnus lo conoscevo come amico di serate. Non sono mai diventato un suo amico vero. Tra l’altro, apro una parentesi, a Bologna c’è la “Buca della campane”, un’osteria che aveva le pareti dipinte da Roberto, perché era la sede di una banda universitaria. Erano i tempi della goliardia che adesso non c’è quasi più. Lui aveva realizzato questi disegni falso medievali. L’avevo conosciuto anche per questi suoi affreschi».
Che tipo era? Molti lo ricordano come un tipo sveglio e pronto anche alla polemica.
«Io lo ricordo piuttosto schivo. Non era molto aperto, non si lasciava andare. Ma non per questo rifiutava la compagnia. Un giorno parlando di fumetti mi raccontò della sua idea di un personaggio nuovo, chiamato Lo Sconosciuto».
Come andò avanti la collaborazione?
«Cominciammo a stabilire i tratti di questo personaggio, come dovevano essere costruite le sue avventure, per esempio il fatto che ogni tanto doveva esserci un flashback di situazioni di guerra che aveva vissuto, cui aveva partecipato come legionario. Lo Sconosciuto è un déracinée, uno sradicato, però ancora in gamba, vivace, anche capace di gesti generosi. Però non un personaggio buono, anzi. Anche un po’ stronzo. Ma erano solo i primi abbozzi. Poi Roberto ha continuato per conto suo».
Perché quell’errore per cui si chiama The Unknow e non The Unknown come sarebbe stato corretto?
«Era un’idea sua. Divertente, peraltro. Voleva lasciare questo nome così: un nome sbagliato per un personaggio fuori dagli schemi, appartato e ribelle. Penso che rispecchiasse la personalità  dell’autore».
Avevate in comune due anime contrapposte: da una parte la goliardia, il desiderio di compagnia e poi l’altra parte, più solitaria e malinconica. Non pensa che lui sia passato da Alan Ford allo Sconosciuto anche per il piacere (tormentato) di decidere tutto da solo?
«Sicuramente è andata così. Non a caso poi Lo Sconosciuto lo ha continuato per conto suo. Il primo episodio l’ho letto quando è uscito in edicola, poi ho perso di vista le sue storie. Le ho potuto leggere quando sono state pubblicate per la prima volta in volume (da Einaudi Stile Libero, ndr)».
Ma si è arrabbiato perché non le ha fatto più sapere niente?
«No, perché era solo un gioco iniziato per caso. Non c’era nessun impegno da parte di nessuno dei due. Anche se avevo già  sceneggiato una storia per un disegnatore di Verona, Francesco Rubino, poi avevo lavorato tanto con Bonvi, per cui era chiaro che mi piaceva lavorare nel fumetto. Ma senza mai pensare che diventasse una professione».
Ha nominato Bonvi. Ecco, è incredibile pensare a come il destino abbia unito, nell’ultima parte della loro vita, proprio Magnus e Bonvi, due autori di fumetto tanto diversi.
«Credo che Bonvi sia rimasto affascinato dal Raviola che andava in isolamento a Castel del Rio. Era un momento di crisi personale per Bonvi. E così – in un giorno del ’93, credo – ha deciso di raggiungerlo. Con Guido De Maria (con Governi autore dei “fumetti in tv”, e con Bonvi autore del personaggio Nick Carter, ndr), siamo andati lì per capire che cosa gli stesse succedendo. Trovammo lì anche Magnus che in quel tempo stava disegnando il suo “Texone”. Tutti e due erano nello stesso albergo e Bonvi era esaltato da quell’isolamento, dalla cucina e anche dal fatto che ci fosse un museo della guerra e lui, autore delle Sturmtruppen, era fissato per le cose militari. Ma insomma entrambi erano affascinati dall’idea di aver abbandonato la città  e di essersi rifugiati in un paesino. Un atteggiamento molto romantico».
E poi l’incredibile finale. Magnus si ammala gravemente, e Bonvi muore investito da un’automobile due mesi prima di lui.
«Di Bonvi ho saputo dalla tv mentre prendevo un aperitivo a un bar. È stato investito mentre andava a una trasmissione televisiva (di Red Ronnie, ndr) proprio perché voleva aiutare l’amico Magnus, malato e in difficoltà  economiche, vendendo delle tavole a fumetti. Un epilogo incredibile».


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