L’INVENZIONE DELL’ICONOLOGIA

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«Il Terremoto si potrà  rappresentare in disegno con figura d’uomo che gonfiando le guance e storcendo in strana e fiera attitudine il viso, mostri con gran forza di uscire da una spelonca o dalle fissure della terra, e già  si veda con i crini longhi e sparsi». È un passo della voce Terremotoc he Cesare Ripa scrisse per il suo trattato sull’Iconologia overo Imagini cavate dall’antichità  e di propria invenzione, edito in prima edizione a Roma nel 1593. L’erudito e letterato perugino, in pieno clima post-tridentino, diede alle stampe un’opera nella quale propone descrizioni iconografiche di concetti astratti (come appunto terremoto) costruendo un repertorio allegorico che ebbe una straordinaria fortuna e che servì come prezioso dizionario enciclopedico per letterati, antiquari e artisti. Ripa era nato intorno al 1555 e s’era formato sui testi antichi e sui reperti antiquari, frequentando celebri accademie dedite
a questi studi tra Perugia e Siena; molto giovane giunse a Roma e fu accolto alla corte del cardinale Salviati: fu grazie a questo colto e raffinato principe della chiesa, e all’opportunità  di avvalersi della sua ricca biblioteca, che entrò in contatto con alcuni dei più rinomati intellettuali e antiquari del tempo. La sua opera è un enciclopedico repertorio iconografico strettamente connesso ai testi, che, alla di lui morte nel 1622, altri arricchirono e perfezionarono. Ripa mostrò un talento da consumato editor del tutto insolito a quel tempo: dispose il repertorio in rigoroso ordine alfabetico che ne rende assai semplice la consultazione, ma anche il sistematico aggiornamento, dietro cui si legge l’intelligenza tassonomica dell’autore. All’edizione princeps del 1593, senza immagini, segue quella del 1603 ricca di 1085 xilografie che segnano nel corso del Seicento la fortuna dell’opera. Dalla prima edizione alla seconda si passa da 699 lemmi a 1309. Anzi diciamo con una forzatura che filologici e storici della letteratura forse non potranno condividere, che la fortuna dell’Iconologia ha per baricentro semantico proprio il suo apparato illustrativo. In questo Ripa non è il solito erudito, come tanti dotti predecessori che attingono all’auctoritas dell’Antico come fonte del sapere, ma un uomo che ha perfettamente capito che l’immagine è destinata a conquistare il campo di un nuovo sapere in ascesa. La rivoluzione compiuta da Ripa consiste nell’aver disposto allegorie illustrate pronte all’uso di artisti e di letterati: con il procedere delle edizioni nel corso del Seicento, con incisioni in rame assai più belle, anche in numerose edizioni in altre lingue, il repertorio iconico guadagnò molto spazio e ne fecero le spese i molti riferimenti eruditi e di tematica etica e morale. D’altronde l’opera veniva edita dopo la straordinaria esplosione iconografica che vi fu a Roma quando palazzi papali e dimore gentilizie si arricchirono di splendidi cicli affrescati a tema religioso e profano: gli affreschi della Biblioteca Apostolica Vaticana con la Galleria delle Carte Geografiche e la Sala Vecchia degli Svizzeri sono verosimilmente alcune delle fonti a cui attinse. Allegorie sacre e profane, rappresentazioni attendibili topografiche e geografiche, del mondo così come lo si conosceva per il quale papa Clemente XIII nutrì un’autentica
passione che condivise con il grande regista di questo ciclo che fu il matematico Egnazio Danti. Ma Ripa fu anche intellettuale spregiudicato, e non esitò a inserire allegorie che furono giudicate licenziose, come la Sapienza che viene raffigurata come una donna nuda sopra uno scettro.
L’opera è ora edita, nella seconda e più ricca editio princeps del 1603, nella collana dei Millenni Einaudi, a cura di Sonia Maffei con testo stabilito da Paolo Procaccioli, pagg. 997, euro 90. Essa è corredata da una bibliografia esaustiva, e di un prezioso Indice degli attributi, scandito in quattro parti:
Oggetti e parti del corpo, Animali, Piante ed elementi vegetali, Colori.
È sufficiente questa tassonomia lessicale per capire il sistema “a grappolo” che l’autore adotta nella costruzione del lemmario. La curatrice, nell’ampio ed eccellente testo, dipana con passo sistematico tutti i problemi che l’opera sottende, offrendo coordinate essenziali per intenderne la rilevanza e la ragione prima della straordinaria diffusione internazionale che l’opera ebbe nel corso del Seicento. Nel secolo dei Lumi, Winckelmann nel trattato sulle allegorie dedica parole velenose a Ripa e segna la distanza che lo separa dall’emblematica neoclassica. Vera manna fu l’Iconologia per artisti e letterati che seppero così narrare con i loro attributi un’immensa iconografia: di qui la rilevanza che il testo ha assunto per storici dell’arte come Ernst Gombrich e, soprattutto, à‰mile Mà¢le (1927) che non esitò a scrivere che, con Ripa sottomano, è possibile decifrare non solo le allegorie di pittura e scultura romana, ma di quelle francesi tra Parigi e Versailles.


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