Il fantasma dell’Ogliastra

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Per quindici anni ne abbiamo avuto un ricordo sfuggente dalla foto segnaletica attaccata ai muri dei posti di polizia, faccia di fronte e faccia di profilo, gli occhi pesti, il collo gonfio, la capigliatura nerissima di quando era un giovane sardo che stava già  diventando erede di quei
che su quest’isola si prendono il rispetto dovuto agli uomini d’orgoglio e di coraggio. Fino a qualche giorno fa c’era rimasto solo e soltanto quello di lui, «Cubeddu Attilio, nato ad Arzana il 2 marzo 1947, ricercato dal 7 febbraio 1997 per non avere fatto rientro, al termine di un permesso, nella casa circondariale di Badu’ e Carros, ove era ristretto, per sequestro, omicidio e lesioni gravissime». Sicuramente disperso. Apparentemente morto. Accidentalmente vivo. È resuscitato dalla sua tomba l’ultimo bandito dell’Ogliastra, terra aspra che da una parte si confonde con l’impenetrabile Barbagia e dall’altra precipita in un mare esageratamente azzurro, cime di neve e cale al riparo dal maestrale, sperduti ovili e luccicanti imbarcaderi con lì in mezzo Arzana, piccola grande capitale sarda che il Duce minacciò di bombardare per liberarsi dei suoi fuorilegge e soprattutto di uno, Samuele Stocchino, Medaglia d’oro al valore sul Carso con Emilio Lussu nella Grande guerra e poi — per faida di famiglia — l’assassino più temuto e braccato di Sardegna, “Sa tigre de Ogliastra” la tigre dell’Ogliastra, l’antenato di questo Attilio Cubeddu che è ricomparso all’improvviso dopo un silenzio quasi infinito. Dalla leggenda dell’“eroe” che tiene in scacco lo Stato carabiniere alla cronaca degli ultimi giorni, dalla visione romantica del bandito solitario e ribelle tramandata dai cantastorie agli elicotteri che all’alba del 12 giugno si sono abbassati sui tetti delle case di Arzana e di Lanusei mentre anche i paesi di Gairo e Cardedu venivano cinti d’assedio da reparti speciali, teste di cuoio, incursori, tiratori scelti. Una grande caccia.
Qualcuno aveva fatto sapere che uno dei nove ricercati «più pericolosi d’Italia» era sempre lì, nel suo reame, difeso dalla sua tribù. Inverosimile la soffiata, più probabile il tentativo (andato male) di una resa da “concordare”, una trattativa in salsa sarda. Un altro mistero intorno a un bandito di cui si sa tutto e niente, catturato nel 1984 a Riccione dopo i sequestri di Ludovica Macchiavelli e di Patrizia Bauer, condannato a trent’anni di reclusione, detenuto modello, evaso dopo un permesso premio e poi ancora accusato di avere segregato l’imprenditore bresciano Giuseppe Soffiantini e sospettato — ma mai incriminato — di avere preso in ostaggio anche la ragazza di Tortolì Silvia Melis. Due sequestri del 1997, appena dopo la libertà  ritrovata e mai più perduta.
Siamo saliti nella “sua” Arzana per raccontare il ritorno di Attilio Cubeddu, siamo partiti dall’ultimo suo domicilio conosciuto per ricostruire le segrete vicende di questo latitante che più di un capo dell’Anonima è considerato uomo «di mano», ruvido, lontano da
contaminazioni politiche, privo di istinto rivoluzionario o da rivendicazioni separatiste, solo uno spietato esecutore che non assomiglia in nulla al suo complice di tante scorribande Giovanni Farina, bandito poeta che manda lettere a giovani suore e vince premi letterari, luogotenente di quel Mario Sale di Mamoiada che definiva la sua banda «la base mobile operativa toscana dell’Anonima sarda intitolata al grande compagno Antonio Gramsci». Attilio Cubeddu è solo Attilio Cubeddu. Rapimenti e orecchie mozzate.
Arzana, 2.526 abitanti, 670 metri sul livello del mare, sedicimila ettari di territorio quasi tutti sul Gennargentu, 60 aziende pastorizie, 65 forestali, 12 imprese edili con 250 operai. Le personalità  del paese secondo Wikipedia: «Stanis Dessy, artista; Anselmo Contu, politico; Attilio Cubeddu, bandito; Pasquale Stocchino, bandito». Un altro Stocchino questo, catturato nel 2003 dopo trentun anni alla macchia, una latitanza superata in lunghezza solo dal siciliano Bernardo Provenzano. Sembra il suo sosia Attilio Cubeddu, introverso come Pasquale, taciturno, diffidente. L’ultima volta, Attilio l’hanno visto in via San Martino al civico 30, a un passo dalla nuova caserma dei carabinieri di Arzana. È in fondo al paese, una casa di tre piani, pietra grigia, un giardino abbandonato, uno scivolo arrugginito. Qui abita la figlia Samuela con i suoi tre ragazzi: Anita, Efisio, Fabiana. All’alba del 12 giugno i poliziotti sono piombati in questa casa. «Era il giorno che dovevo ritirare la pagella e hanno messo tutto sottosopra», ricorda Efisio, terza media e i capelli rasati come usano ancora i pastorelli sardi. Sono andati anche davanti alla farmacia dove sta Cristina, un’altra figlia di Attilio Cubeddu. E a Cardedu, dove vive la terza figlia Valeria e pure Marisa Caddori, la moglie del latitante. Niente. Non l’hanno trovato neanche lì. È morto un’altra volta Attilio Cubeddu. Il sindaco di Arzana è Mario Melis. Racconta di quella mattina: «Mi hanno svegliato i rumori delle pale degli elicotteri, avevamo organizzato un tour dell’Ogliastra in mountain bike, settantacinque atleti provenienti da tutto il mondo. Doveva essere un giorno di festa». È sconfortato Melis: «Bastava che gli elicotteri arrivassero poche ore dopo e gli stranieri non avrebbero visto nulla, invece hanno visto tutto». È andata come è andata ma il sindaco è consapevole: «La nostra storia purtroppo è quella che è e non cambierà  fino a quando non si chiuderà  l’ultimo capitolo ». Fino a quando Attilio Cubeddu sarà  libero, Arzana avrà  il destino segnato. Gli resterà  quel marchio ignobile: paese di banditi, di omertosi, paese di conniventi. Perfino l’urbanistica inchioda e infama Arzana. «Quando ti arrampichi da Tortolì verso il Gennargentu guarda il paese e vedrai che è a forma di fucile», ci avverte un amico sardo. Il calcio appoggiato sulla collina, la canna — una stretta fila di case — che scende verso valle.
Una nomea che risale al tempo del fascismo e ai suoi briganti, quando Mussolini mise una taglia di 250mila lire — un record per quell’epoca — sulla testa dello Stocchino che aveva combattuto sul Carso nella Brigata Sassari. Il resto l’hanno fatto gli incendiari anni Ottanta con i nuovi balentes, brutali imitatori dei loro capostipiti, solo più ricchi, poche pecore e tanti soldi. «Ma tutto questo appartiene a un’altra Arzana, qui siamo andati avanti, quelli che chiamano banditi sono ormai solo poveri cristi», dice Raffaele Sestu, medico condotto e presidente delle Proloco della Sardegna, innamorato del suo paese e di tutto quello che c’è intorno. Sentieri, salti d’acqua, erbe mediche e i suoi quattro pazienti ultracentenari. Paolino ha 103 anni, Antonio 102 anni; Cicita e Maria 101 anni. Il dottor Sestu dal 1985 ha avuto in cura ventisei vecchietti sopra il secolo d’età . Arzana, oltre al primato dei banditi, ha anche quello della longevità . La più vecchia fra i vecchi, Raffaella Monni, è morta nel 2007 a 109 anni e sei mesi.
Sarà  cambiata Arzana ma ai suoi banditi ci tiene sempre. Cubeddu è stato aiutato ogni giorno da quel 7 febbraio del 1997. Accudito, sfamato, nascosto. Fino a quando un misteriosissimo personaggio — uno di quelli di confine fra banditi e Stato — all’inizio della primavera si è presentato al procuratore capo di Lanusei Domenico Fiordalisi e ha cercato una strana “mediazione”. Gli ha fatto capire che “il morto” si sarebbe anche potuto costituire, magari in cambio di qualche indagine patrimoniale in meno contro la sua famiglia. È cominciata una partita tutta psicologica. Fatta di mosse e contromosse, di spiate, di talpe che diffondono informazioni vere e fasulle. Il procuratore, un calabrese tutto d’un pezzo che per qualche anno ha avuto come casa una cella del carcere San Daniele e dopo minacce vigliacche ha rispedito moglie e figli in Calabria, a un certo punto ha alzato il tiro. E ha ordinato di circondare Arzana. Dieci i favoreggiatori trovati. Sono solo i primi. Dopo quindici anni, Attilio Cubeddu non si può più fidare di tutto il suo paese.
Nemmeno dei poeti. Anche loro non sono più quelli di una volta. Come quel Sebastiano Satta, avvocato penalista di Nuoro, amico dei socialisti sassaresi, giornalista e scrittore che quasi un secolo fa alle gesta degli avi di Cubeddu dedicò un Vespro di Natale.
Dai suoi canti barbaricini: «Incappucciati, foschi, a passo lento, tre banditi ascendevano la strada […] ai banditi piangea la nostalgia. E mesti eran, pensando al buon odore. Del porchetto e del vino, e all’allegria. Del ceppo, nelle lor case lontane». I banditi hanno sempre avuto i loro ammiratori.


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