Piano città , corsia preferenziale per i progetti urbani già avviati
ROMA — Gara semplificata e partenza anticipata: il governo spinge sul Piano città e – in attesa del decreto che definirà i criteri di lavoro della Cabina di regia, «cuore» dell’intera operazione emergono i primi dettagli sui tempi e modi da seguire.
In genere la procedura prevista in questi casi, è lenta: prima che il cantiere di una riqualificazione urbana finanziata con bando dal ministero delle Infrastrutture possa partire ci vogliono due- tre anni. Troppi per un Paese in crisi: il ministero sta quindi
pensando di adottare, per il Piano città , una procedura semplificata. L’idea che sta prendendo piede è quella di dare la precedenza a progetti urbani già avviati che ora, grazie all’aiuto dei fondi statali (2 miliardi di euro) possano avere nuovo impulso, o a piani cittadini che si integrino a progetti già in corso sull’housing sociale o sull’edilizia scolastica.
I tempi sono stretti: affinché gli effetti dell’intera operazione possano vedersi già in autunno (obiettivo fissato dal ministro Passera dal viceministro Ciaccia) il decreto che definisce i criteri grazie ai quali la Cabina di regia avvierà la «gara» e deciderà quali progetti ammettere al co-finanziamento statale dovrà essere varato entro i primi di luglio. La Cabina (che oltre ai quattro ministeri coinvolti comprende rappresentanti delle Regioni, del Demanio, l’Anci e la Cassa Depositi e Prestiti) in realtà già sta individuando le basi sulle quali avviare la selezione: la priorità dovrebbe essere accordata a progetti velocemente cantierabili (obiettivo dell’intera operazione è creare 100 mila posti di lavoro entro i prossimi due- tre anni), sui quali sia facile far convergere altri fondi pubblici e privati e che rispondano ad emergenze di disagio abitativo o di trasporto urbano.
Le domande di accesso al cofinanziamento cominciano a fioccare: diverse città hanno già inviato alle Infrastrutture i loro progetti. E non si tratta solo di grandi centri: nella partita vogliono starci anche città più piccole. Se Roma, Bologna, Firenze o Napoli puntano alla riqualificazione di interi quartieri, c’è anche chi – come Pavia – chiede al governo 5 milioni di euro per restaurare il monastero di Santa Clara, ex caserma Calchi, e trasformarlo in una biblioteca multimediale.
Ascoli Piceno ne chiede 30 per bonificare l’aera industriale dismessa dell’ex Sgl Carbon. Il progetto presentato prevede la creazione di un polo scientifico-tecnologico completamente ecosostenibile. Perugia punta ad un co-finanziamento di 20 milioni per risistemare l’area del Mercato coperto, dell’ex policlinico di Monteluce e per intervenire su Fontivegge, zona confinante con la stazione e soggetta al degrado. A Pesaro servono poco meno di 18 milioni per dare nuova vita all’ex ospedale psichiatrico di San Benedetto, risistemando il parco pubblico e inserendovi servizi sociali: dalla biblioteca ai parcheggi interrati. Siracusa userebbe i 9 milioni cui punta per co-finanziare la riqualificazione l’ex cintura ferroviaria e risistemare il lungomare. Verona ne vuole 40 per recuperare la zona nord-ovest: dall’Arsenale, a Borgo Nuovo, alla Corte Rurale. Pescara chiede poco meno di 8 milioni per costituire alloggi sociali e servizi per l’infanzia da mettere a disposizione delle giovani coppie che vivono e lavorano in città .
Tante piccole e medie opere da contrapporre all’idea che lo sviluppo possa arrivare solo dalle grandi opere infrastutturali: servizi di cui il Paese ha bisogno, ma che richiedono tempi e sforzi economici ben maggiori ai 2 miliardi che il governo oggi può offrire. Un recente studio del Censis su «trasformazione urbana e sviluppo sostenibile» era stato chiaro: ««Pur ricche di qualità in gran parte ereditate dal passato, le città italiane non sembrano riuscire a garantire alla maggioranza dei loro utenti standard adeguati in termini di abitabilità , qualità dei servizi urbani e spazi dell’abitare: è necessaria una inversione di rotta».
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