Pugno di ferro del regime, colpita l’opposizione
La linea del pugno di ferro che si è intensificata dopo la morte, una settimana fa, del principe ereditario saudita e ministro dell’interno Nayef bin Abdul Aziz, protettore della monarchia al Khalifa, che inviò le truppe saudite a schiacciare la rivolta per le riforme e la democrazia di Piazza della Perla, nella primavera dello scorso anno a Manama. Fonti bahranite spiegano che re Hamad bin Isa al Khalifa teme di non ricevere dal nuovo principe ereditario Salman bin Abdul Aziz lo stesso livello di aiuto militare garantito da Nayef. Secondo le stesse fonti, Salman pur condividendo la linea di tutti i Saud, allo stesso tempo è più prudente e meno aggressivo verso l’Iran (accusato da Riyadh di sostenere la protesta «sciita» in Bahrain). Sino ad oggi si è occupato poco di politica estera perché per decenni è stato il governatore della capitale, quindi si trova più a suo agio con la politica interna. Salman, peraltro, sarà già re di fatto visto che l’87enne sovrano Abdullah è gravemente ammalato e non in grado di governare. La dinastia bahranita perciò stringe i tempi, vuole schiacciare l’opposizione interna prima che la (presunta) cautela del principe Salman abbia riflessi sull’intervento di truppe saudite a Manama. E gli effetti si stanno rendendo evidenti, anche nei confronti dei rappresentanti più moderati dell’opposizione. Come il deputato Ali Salman, leader del partito sciita Wefaq, che venerdì è stato ferito alla testa da un candelotto lacrimogeno sparato dalla polizia ad altezza d’uomo. «Le forze di sicurezza in passato mostravano maggior rispetto per le personalità politiche, ora si comportano in modo diverso», ha commentato un membro del Wefaq, Matar Matar, confermando così l’aumento della repressione in questi ultimi tempi. Parla chiaro d’altronde l’annuncio che il 5 luglio davanti ai giudici del tribunale dei minori di Manama, si presenterà anche un bambino di 11 anni, Ali Hasan, accusato di aver minaccato la sicurezza del paese. A nulla sono serviti gli interventi a suo favore giunti da Amnesty International. Ali era stato arrestato lo scorso 14 maggio per aver preso parte a «disordini» e ad un’assemblea «volta a turbare l’ordine pubblico». Secondo testimoni, Ali, assieme ad altri ragazzini, aveva chiuso una strada rovesciando un cassonetto di rifiuti. Nel frattempo, seguendo l’esempio dell’attivista dei diritti umani Abdulhadi al Khawaja, un medico bahranita, condannato di recente per la sua presunta partecipazione alla protesta contro la monarchia dello scorso anno, ha deciso di fare lo sciopero della fame. Saeed al-Samaheji, condannato ad un anno di carcere, fa parte di un gruppo di 20 medici e infermieri dell’ospedale Salmaniya di Manama che furono arrestati e condannati lo scorso anno con l’accusa di aver prestato soccorso a «terroristi» e di aver impedito alla polizia di entrare nell’ospedale. Gli arrestati respinsero le accuse, affermando di aver soltanto curato persone rimaste ferite durante negli scontri in strada. Dei 20 medici solo quattro restano in prigione, dopo la sentenza della corte d’appello della scorsa settimana. Le vittime ufficiali della repressione sono una sessantina, ma l’opposizione fissa il totale a 90. Numeri bassi rispetto a quelli di altri scenari di crisi in Medioriente ma significativi se si considera che i bahraniti sono meno di un milione.
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