Ecco la tassa della discordia che vuol tagliare le unghie alla finanza speculativa

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BRUXELLES â€” L’Europa andrà  avanti con chi ci sta per imporre una tassa sulle transazioni finanziarie, la cosiddetta Tobin Tax. Ieri i ministri economici riuniti a Lussemburgo hanno constatato l’impossibilità  di trovare l’unanimità  sulla proposta della Commissione di introdurre un prelievo dello 0,1 per cento sulle transazioni azionarie e obbligazionarie, e dello 0,01 per cento sulle altre operazioni finanziarie. Poiché tutte le normative in materia fiscale richiedono l’unanimità , la direttiva rischiava di restare bloccata ancora per anni dal veto categorico della Gran Bretagna. A questo punto Francia e Germania, che da tempo sostengono la tassa, hanno lanciato l’idea di una cooperazione rafforzata, che ha raccolto l’adesione di almeno nove governi, numero minimo indispensabile per far scattare le «due velocità ». Ufficialmente a favore dell’idea di andare avanti comunque sono, oltre a francesi e tedeschi, anche belgi, austriaci, portoghesi, sloveni, greci, finlandesi e spagnoli. Il governo Monti ha già  dichiarato di essere favorevole, ma ieri, essendo rappresentato all’Ecofin dal solo rappresentante permanente, l’ambasciatore Nelli Feroci, non ha preso una posizione formale in materia. Nel pomeriggio, comunque, a conclusione del vertice quadripartito di Roma, la Merkel ha annunciato: «Sono felice di poter dire che tutti e quattro ci siamo dichiarati d’accordo per introdurre una tassa sulle transazioni finanziarie». Oltre che dall’Italia, valutazioni positive su una cooperazione rafforzata sono venute anche dalla Polonia, dalla Repubblica ceca e dalla Romania. La Danimarca e Cipro, che esercitano la presidenza adesso e nel prossimo semestre, si sono astenuti per non venire meno al loro dovere di neutralità .
Nettamente contraria ad ogni tipo di tassazione delle transazioni finanziarie è la Gran Bretagna, che ospita la principale piazza finanziaria europea. Con Londra si sono schierati gli olandesi, gli irlandesi, gli svedesi, gli slovacchi e i maltesi.
A spingere molti governi, e in particolare quello tedesco, a rompere gli indugi e decidere di proseguire sulla via della tassazione delle operazioni finanziarie, sono motivi di politica interna. La Merkel ha bisogno del voto dell’opposizione socialdemocratica e verde per far ratificare il fiscal compact al Bundestag, e la sinistra ha posto come condizione per il voto favorevole che si vada avanti con il progetto di Tobin Tax. Lo stesso vale per l’Austria, dove il governo ha bisogno del voto dei verdi, condizionato al varo della nuova fiscalità . La Francia e il Belgio, i cui governi sono recentemente passati sotto guida socialista, hanno invece rafforzato la loro convinzione circa la opportunità  di procedere comunque, anche senza l’unanimità  dei consensi. Dopo che almeno nove Paesi avranno manifestato la loro intenzione di procedere, toccherà  alla Commissione verificare la congruità  del progetto: un esame dall’esito scontato visto che la stessa Commissione aveva formulato una proposta di direttiva. Sarà  poi il Consiglio a votare (a maggioranza) se autorizzare la procedura rafforzata. Anche questo passaggio, però, non dovrebbe essere particolarmente difficile.
Secondo lo studio della Commissione, una imposizione come quella proposta da Bruxelles (ma le aliquote potrebbero essere riviste) avrebbe portato a livello europeo a far entrare nelle casse pubbliche 57 miliardi di euro all’anno. Ieri Oxfam ha reso nota una seconda analisi secondo cui la Tobin Tax, applicata da Paesi che rappresentano il 90 per cento del Pil della zona euro, frutterebbe comunque un reddito di circa 40 miliardi di euro annui. Una questione cruciale, ma ancora non risolta, è quella della destinazione degli introiti derivati dalla nuova tassa. Originariamente la Tobin Tax era stata concepita come un mezzo per finanziare i Paesi più poveri. Ma, in tempi di recessione e di austerità  di bilancio, i governi potrebbero anche decidere altrimenti.


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