Il Tour del Rinascimento

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È patrocinato dal Ministero per i Beni e le Attività  Culturali, il progetto Piccoli Grandi Musei, presieduto da Antonio Paolucci, Direttore dei Musei Vaticani. Da otto anni il progetto crea in Toscana veri e propri itinerari. Questa volta è il Rinascimento in terra di Arezzo, che prevede visite guidate sistematiche a piedi o in pullman, visite di musei e numerosi eventi. I comuni sono: Arezzo, Castiglion Fiorentino, Civitella in Val di Chiana, Cortona, Foiano della Chiana, Lucignano, Marciano della Chiana, Monte San Savino. Ognuno ha sul proprio territorio chiese antiche e musei di notevole rilevanza. Da oggi al 18 novembre, tutto è aperto e
fruibile. Si possono vedere restauri in corso e si apprezzano le notevoli migliorie apportate ai musei nell’impiantistica e negli allestimenti; una lezione di tutela e valorizzazione dei Beni Culturali. Il main sponsor è Banca Etruria, una Banca popolare che si segnala per ampiezza di interventi a favore dei Beni Culturali, come fu per il restauro degli affreschi di Piero della Francesca a Arezzo. Ma partecipano, poi, la Soprintendenza, la Provincia e Diocesi di Arezzo, la Fraternita dei Laici e varie Società  operose sul territorio. Un’iniziativa del genere ricorda a tutti la validità  del principio espresso dai massimi studiosi della materia, e cioè che il patrimonio culturale di questo Paese è disseminato sul territorio per cui in Italia le opere d’arte nelle Chiese o nei Palazzi e quelle nei musei fanno parte di un unico tessuto che non ammette gli immani
“campi di concentramento” tipo Louvre o Ermitage. L’unico vero rapporto con il Bene culturale è quello della effettiva conoscenza e della conquista di tale conoscenza. E questo avviene solo recandosi sul posto e cercando di capire che cosa ci stanno a fare quelle cose lì e in che misura possono o debbono interessare la nostra esperienza reale e attuale. Chi va a Roma a vedere il Colosseo, in linea di massima perché il monumento è stato reso vivente e attualizzato dal film
Il gladiatore,
ha, a pochi passi di distanza e
per di più all’aperto, l’Arco di Costantino, cioè il più insigne (forse) monumento della antichità  classica romana. Tuttavia, non avendo tale monumento alcun “appeal” all’occhio del visitatore arrivato sulla spianata su cui si erge il Colosseo, è rarissimo che qualcuno si degni non dico di visitarlo ma di guardarlo. Non interessa perché non si capisce che il territorio su cui ci troviamo e, in conseguenza quello che stiamo vedendo, è una porzione sbalorditiva e meravigliosa della Roma antica. Perché accade questo? Perché nessuno (o molto pochi) ha in mente il concetto del territorio come Bene Culturale, concetto che è il fondamento degli studi, della tutela e della valorizzazione. Eppure se questo non si capisce sarebbe quasi meglio non andare a visitare alcunché. Se lo si capisce, invece, tutto acquista senso e bellezza. Ecco quello che hanno fatto a Arezzo e hanno fatto bene.
In quel territorio, come emerge chiaro dal catalogo (Polistampa) a cura di Liletta Fornasari e Paola Refice, è depositata una storia avvincente, profondamente interconnessa e rivelatrice di cose che ci stanno a cuore anche adesso. Per l’occasione
opera che era sul territorio in antico c’è tornata, prima fra tutte la pala Marsuppini di fra Filippo Lippi, degli anni Quaranta del Quattrocento, già  in San Bernardo ad Arezzo e oggi ai Musei Vaticani. Questo capolavoro si confronta bene con i dipinti, numerosi e bellissimi, di un altro religioso- pittore, della seconda metà  del Quattrocento, Bartolomeo della Gatta, camaldolese, miniatore e pittore fiorentino (1448-1502). Questa rassegna è la grande occasione per restituirgli il posto che gli spetta nella storia dell’arte. Si tratta infatti di un grande artista dimenticato e che va assolutamente conosciuto, tanto più importante perché in questa rassegna incontriamo alcuni giganti della pittura italiana, come il Beato Angelico, Piero della Francesca e Luca Signorelli.
E non c’è dubbio che la fama di cui maestri del genere godono sia strameritata e ogni incontro con Piero della Francesca, ad esempio, sembra sempre una rivelazione. Ora, a ben vedere, la manifestazione aretina è una rivelazione in sé, perché, accompagnandoci a co-
noscere il territorio, ci dimostra nei fatti come la storia della nostra arte sia sovente decifrabile nei termini di sostanziali convergenze tra ideologia, stile e appunto, connessione territoriale. Per questo motivo la figura nobilissima di Bartolomo della Gatta permette di focalizzare la quintessenza dell’argomento. Egli vive e opera parallelamente a Piero della Francesca. È, in verità , molto più giovane. Quando Piero ha già  prodotto lavori determinanti e acquisito una posizione autorevole, Bartolomeo della Gatta è un ragazzino che sta muovendo i primi passi, ma poi Piero vivrà  piuttosto a lungo mentre Bartolomeo supererà  di poco la cinquantina per spegnersi a pochi anni di distanza da Piero.
Questi due artisti sono due emblemi, uno, Piero, del grande e ininterrotto laicismo della nostra cultura e l’altro (Bartolomeo) di quell’area confessionale sempre moderatamente consapevole della inevitabilità  di una dialettica col mondo laico-progressiqualche
sta che la spinge verso posizioni sovente avanzatissime, pur protette da remore insuperabili. Piero è il sommo indagatore della psiche umana e dei comportamenti, coprendo una gamma vastissima di riflessioni ancora oggi fonte di inquietudini e tormenti. Ma Bartolomeo è uno dei massimi campioni di quella scoperta
del “naturalismo” inteso come vera manifestazione degli ideali di bellezza e umana apertura, che connota la migliore cultura cristiana e cattolica nel nostro Paese, ponendosi al contempo come promotrice di progresso e benessere e come freno alla piena manifestazione di sé. Bartolomeo è un pittore sublime e il suo
San Roccodi
fronte alla sede della Fraternita dei Laici uno dei più bei quadri del Rinascimento. Ci si augura che questa manifestazione ce lo renda più grato e vicino.


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