«Il pragmatismo di Ortega ha diviso la sinistra, servono fede e poesia»
«Il pragmatismo di Daniel Ortega ha diviso la sinistra nicaraguense», dice al manifesto Vidaluz Meneses, presidente del Centro nicaraguense de Escritores. Poeta, scrittrice, ex viceministra della cultura nel governo sandinista, Meneses oggi milita nel Movimento per il rinnovamento sandinista (Mrs), una forza di opposizione. È venuta in Italia per partecipare alla giornata in ricordo del teologo Giulio Girardi, recentemente scomparso, organizzata a Roma (sala della Provincia, via IV Novembre, 119/a) a partire dalle 9,30. A ricordare l’impegno di Girardi a fianco del popolo nicaraguense e delle nuove esperienze di alternativa in America latina, diversi ospiti internazionali, come Gerard Lutte, che vive con i ragazzi di strada in Guatemala, e Juan Francisco Andrade, che parlerà di «movimenti indigeni e loro profeti».
Fede, poesia e rivoluzione, tre parole – lei scrive – che hanno guidato l’impegno di una vita. Direttrici comuni ad alcuni ex dirigenti sandinisti, come Ernesto Cardenal e Gioconda Belli, entrambi appartenenti all’Mrs, e cifra riassuntiva dell’esperienza sandinista. Cosa rimane oggi in Nicaragua di quell’universo?
Il mio contributo per la costruzione di un mondo più giusto passa ancora per quei contenuti: essere cristiani significa essere rivoluzionari, per realizzare il regno di Dio, non bisogna aspettare la morte. La poesia è una necessità personale, una riflessione sulla vita e sulla storia, rivolta soprattutto ai giovani. Io lavoro da anni con la società civile e con i movimenti di base per aprire spazi di partecipazione dal basso. Il pragmatismo di Ortega ha invece deviato da quelle spinte ideali. Per vincere le elezioni, Daniel, si è alleato con un corrotto e ha continuato poi a mantenere l’alleanza. Per ottenere l’appoggio delle gerarchie ecclesiastiche, ha sacrificato anche l’aborto terapeutico riportando indietro i diritti delle donne. Ha mascherato con la retorica l’opacità della sua politica e l’assenza di orizzonti. Lui e la moglie Rosario Murillo hanno molti interessi personali, e non rendono conto delle scelte politiche.
I programmi sociali del governo Ortega e l’adesione all’Alba, l’Alleanza bolivariana per i popoli della nostra America, non sono cose positive?
Sì, lo sono, ma con dei limiti. Alcune misure sociali stanno riducendo sensibilmente la povertà estrema, un problema che si era aggravato per via delle scelte neoliberiste dei governi precedenti. Un’altra cosa positiva, è il sostegno alla cultura popolare, all’artigianato e alle tradizioni locali. Dobbiamo valorizzare il carattere multiculturale, multietnico e multilingue della nazione e condividere questi valori con i paesi fratelli del Centroamerica. Il fatto è, però, che in queste iniziative di Ortega, troppo spesso fa premio l’assistenzialismo, il caudillismo, la propaganda e l’assenza di trasparenza. Alcuni governi precedenti, come quello di Violeta Chamorro, avevano aperto degli spazi di democrazia e accompagnato la transizione verso la pace. La società civile, anche se non aveva posizioni coincidenti con quei governi, è molto cresciuta in termini di partecipazione. Oggi vorremmo che le nostre proposte fossero ascoltate. Ortega, però, se ne infischia dei poteri costituiti, i fondi dell’Alba sono gestiti in modo privatistico. E comunque, io alla retorica del venezuelano Chà¡vez sul socialismo preferisco lo stile del brasiliano Lula e di Rousseff. Per costruire giustizia sociale, noi guardiamo ai movimenti della società civile e ai partiti delle socialdemocrazie europee.
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