“Mubarak è clinicamente morto” Poi la smentita: “In coma, ma vivo”
IL CAIRO – Aveva lasciato le redini del potere l’11 febbraio scorso, chiudendo nel sangue una parabola durata 30 anni. Ma anche la sua definitiva uscita di scena si ammanta di mistero, secondo i suoi avvocati l’anziano leader si trova in uno stato di «coma». Le condizioni di salute dell’ex presidente egiziano si erano aggravate dal 2 giugno scorso, giorno in cui fu emessa la sentenza che lo condannava all’ergastolo per aver ordinato la repressione durante la rivoluzione di Piazza Tahrir che portò alla morte di almeno 850 manifestanti lo scorso anno. L’ex raìs dopo la sua caduta, prima si era rifugiato a Sharm el Sheik, dove c’è la residenza estiva del Capo dello
Stato, poi ad aprile del 2011 il ricovero in ospedale per problemi di cuore. Ci vorranno lunghi mesi prima che venga trasferito al Cairo, nell’infermeria della prigione di Tora — dove per trent’anni ha spedito i suoi oppositori e molti sono spariti nel nulla — e in questi mesi al suo fianco ha sempre avuto la moglie Suzanne e i figli, detenuti anch’essi nella stessa prigione. Poi il processo e la condanna all’ergastolo, che ha suscitato le proteste di chi avrebbe voluto la pena capitale per l’uomo giudicato responsabile della repressione che portò alla morte di tanta gente. Dal giorno della sentenza le sue condizioni di salute si sono aggravate, fino all’infarto fatale di ieri notte. I sanitari dell’ospedale militare del distretto di Maadi nella capita-
le hanno tentato di rianimarlo con il defibrillatore ma Mubarak, 84 anni, non si è più ripreso.
Con la morte del Faraone, se confermata, si chiudono trent’anni di storia dell’Egitto e dell’intero Medio Oriente. Anni segnati dalla gestione con pugno di ferro del paese, dall’avvio di politiche di privatizzazione che hanno dato grande slancio alla crescita economica, ma hanno alimentato la corruzione ed ampliato il divario fra ricchi e poveri, da rapporti molto stretti col mondo occidentale, in particolare con gli Usa, dal mantenimento della pace con Israele, da un approccio nella regione spesso controverso nel mondo arabo. Per tre decadi, ha governato con pugno di ferro grazie allo stato di emergenza, che gli ha consentito di controllare e reprimere con grande efficacia ogni forma di opposizione. Un’oppressione morbida non sgradita all’Occidente, che nel solido raìs ha sempre visto un baluardo contro il fanatismo islamico e non solo. Nella sua lunga permanenza al potere, Mubarak si è infatti dimostrato un solido alleato degli Usa, che hanno contraccambiato con generosi finanziamenti alle sue forze armate, e un prezioso interlocutore negli sforzi di pace tra palestinesi e israeliani. Ma anche un abile tessitore di rapporti con la grande famiglia araba, in cui l’Egitto è rientrato da leader dopo essere stato espulso come traditore per gli accordi di pace firmati con Tel
Aviv.
Indebolito fisicamente in seguito all’intervento alla cistifellea in Germania nel 2010, inseguito da voci ricorrenti di un cancro al pancreas, la parabola
dell’ex rais ha cominciato ad essere discendente nel momento in cui ha cominciato a salire quella del figlio minore Gamal. Considerato l’artefice, con un gruppo consolidato di
businessman amici, delle politiche di privatizzazioni egiziane è considerato da molti come uno degli elementi scatenanti della rivoluzione schierata contro una successione dina-
stica della presidenza del paese. Quel passaggio di testimone come una famiglia regnante accesero la scintilla della rivoluzione che covava da almeno tre anni.
«Questa è la mia amata patria. Ho combattuto per lei, per difendere la sua terra i suoi interessi e la sua sovranità . Su questa terra io morirò e la storia mi giudicherà ». Con queste parole Hosni Mubarak chiuse il suo ultimo discorso da raìs egiziano, nel pieno delle rivoluzione, che dieci giorni dopo rovesciò. Poi più nulla, quasi perso in oblio, che annunciava un fine non lontana. La notizia della sua morte ha fatto sorridere molti egiziani, come se ai loro
occhi una giustizia divina fosse intervenuta. Qualche corteo di macchine si è mosso verso Piazza Tahrir per festeggiare, le tv hanno interrotto la lunga maratona elettorale sulle controverse elezioni presidenziali. Dopo sedici mesi di “rivoluzione permanente” gli egiziani affrontano un caos istituzionale nel quale la Giunta militare che governa il Paese dopo la caduta del raìs affronta la Fratellanza musulmana, principale forza d’opposizione al regime e ora partito di maggioranza relativa che rivendica per il suo candidato Mohammed Morsi la vittoria alle prime elezioni presidenziali libere. Ma il risultato del voto è controverso, anche l’ultimo premier di Mubarak Ahmad Shafik reclama la vittoria nei seggi. La Storia non ammette ricorrenze ma non si può non notare che l’addio dell’ultimo Faraone coincide con l’elezione del suo successore, nella speranza che non ripercorra lo stesso sentiero.
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