Samaras imbarca il Pasok e chiede più tempo per i tagli
ATENE — La Grecia stringe i tempi per varare il governo di unità nazionale cui sarà affidato il titanico compito di portare il paese fuori dalla crisi tenendolo agganciato al treno dell’euro. «Dobbiamo avere un nuovo esecutivo più ampio possibile entro domani (oggi per chi legge, ndr) per dare un segnale di serietà all’estero», ha detto ieri il numero uno del Pasok Evangelis Venizelos dopo aver incontrato Antonis Samaras, il leader di Nea Demokratia vincitore alle elezioni cui il presidente della Repubblica Karolos Papoulias ha affidato il mandato esplorativo. I numeri, in teoria, ci sono, visto che i conservatori di Samaras e Venizelos (i due partiti storici che dominano da 27 anni la politica ellenica) dispongono già da soli 162 seggi su 300. Ma il tentativo – in un paese in ginocchio e ad alto rischio di tensioni sociali – è quello di allargare il più possibile entro stasera la base del governo includendo almeno Dimar, la sinistra democratica di Fotis Kouvelis. Pronto a dire di sì «davanti a un governo di figure credibili e indipendenti dalla politica capace di rialzare il salario minimo e ripristinare i contratti collettivi». Il nuovo esecutivo dovrebbe negoziare subito con la Ue un ammorbidimento dell’austerity imposta
dalla Trojka e in particolare 4 anni in più per gli 11,7 miliardi di tagli previsti entro fine giugno.
Il leader della sinistra radicale Alexis Tsipras («un irresponsabile » per Venizelos) – secondo alle elezioni con il 27% – ha già annunciato che non entrerà nella coalizione. «Saremo un’opposizione critica e responsabile – ha detto -. Il governo risponderà delle sue scelte. Altri tagli a pensioni e stipendi sarebbero disastrosi». Se il nuovo esecutivo faticherà a decollare, squagliandosi quando ci saranno da votare nuovi capitoli dell’austerità della Trojka, a
lucrare il dividendo in voti sarebbe proprio il 37enne astro emergente della politica che ha portato il suo partito dal 4% al 27% in quattro anni. L’agenda fissata da Fmi, Ue e Bce per la Grecia è in effetti durissima e pressante. Il capitolo più delicato – quello destinato con ogni probabilità a far scricchiolare da subito l’alleanza di governo – è la riforma del pubblico impiego. Il memorandum prevede il taglio di 150mila posti entro la fine del 2015. E, in particolare nel Pasok, su questo fronte ci sono molte incertezze che rischiano di tradursi in defezioni al
momento dei voti in aula. Un altro scoglio importante sarà quello delle liberalizzazioni. «La crescita del paese può arrivare solo dal settore privato – ha detto ieri Kiriakos Mitsostakis di Nd, erede di una delle più famose dinastie politiche greche -. Per questo dobbiamo aprire i settori più chiusi e combattere corruzione ed evasione». Belle parole che però finora nessuno è riuscito a tradurre in realtà per le fortissime resistenze corporative. Ultimo nodo saranno le privatizzazioni. Gli accordi presi da George Papandreou due anni fa prevedevano
la vendita di aziende statali e immobili per 50 miliardi. Ma ad oggi siamo a quota 400 milioni, un flop figlio non solo della crisi dei mercati ma pure dell’opposizione dei potentissimi sindacati ellenici, passati tra l’altro ora armi e bagagli dal Pasok a Syriza.
Samaras, per allungare la vita al suo governo che nasce già un po’ fragile, non ha altra scelta che negoziare più concessioni possibili dalla Ue. Anche su questo fronte il tempo non è molto. Il Pil nel primo trimestre è sceso del 6,5%, la disoccupazione giovanile è al 54%. E, in assenza di proroghe, entro fine giugno, Atene deve spiegare alla Trojka come farà a tagliare altri 11 miliardi di spese dal bilancio. A metà luglio, senza il via libera alla nuova tranche di aiuti da 31 miliardi, le casse della Grecia saranno vuote. E nessun esecutivo al mondo vorrebbe trovarsi di fronte a un baratro del genere.
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