“Fabbriche in affitto e nuovi partner” così Fiat vuole salvare gli impianti italiani
TORINO — Salvate il soldato Italia. Le recenti dichiarazioni di Sergio Marchionne disegnano un quadro non rassicurante. Non tanto per le scelte dell’amministratore delegato di Torino ma per la forza delle cose che rischia di spingerlo comunque lontano dalla sponda europea. Chi lo critica aspramente pensa che l’ad del Lingotto stia «mettendo in campo una strategia del progressivo abbandono dell’Italia » e sostiene anzi, come fa il segretario della Fiom Giorgio Airaudo, che «lo stesso braccio di ferro con il sindacato sia un diversivo» per nascondere quella strategia. Ma anche chi ha un atteggiamento più condiscendente comincia a interrogarsi sul futuro del gruppo. Perché in pochi giorni Marchionne ha detto tre cose. La prima è che in Europa c’è un eccesso di capacità produttiva, cioè bisogna chiudere degli stabilimenti. La seconda è che per evitare quel rischio sarebbe utile un intervento di Bruxelles. La terza è che pur di non chiudere gli stabilimenti italiani, Marchionne sarebbe disposto ad affittarne una parte ai concorrenti ma nel frattempo la Fiat annuncia il rinvio di 500 milioni di investimenti in Italia. L’obiettivo, dicono al Lingotto, è quello di provare a salvare l’apparato produttivo in Italia con l’arrivo di nuovi partner. Il rebus si scioglierà a fine luglio quando Marchionne illustrerà i risultati del primo semestre. Poco più di un mese per delineare una strategia in grado di superare l’autunno più difficile per il Vecchio continente. Tenendo sotto controllo tre fronti caldi.
IL MERCATO DELLA ZONA EURO
«Se l’euro scomparisse, il mercato europeo scenderebbe sotto i 10 milioni di auto vendute», prevede Marchionne. Oggi in Europa si vendono 13 milioni di auto all’anno. La crisi colpisce soprattutto i mercati della moneta unica proprio perché le politiche recessive dei governi finiscono per punire il consumo delle quattro ruote. Ma anche se l’euro reggerà , la crisi punirà soprattutto i produttori di utilitarie, come la Fiat. Un mercato tanto basso non può reggere a lungo, genera eccessi di capacità produttiva. Il primo tentativo di reagire è dell’autunno scorso quando Marchionne ha cominciato a proporre «che sia l’Europa a varare un piano di incentivi come avvenne per la siderurgia». Bruxelles avrebbe dovuto varare un gigantesco piani di prepensionamenti ma i tedeschi
si oppongono.
GLI STABILIMENTI ITALIANI
«Oggi tutti gli stabilimenti italiani sono sottoutilizzati», osserva il leader del Fismc, Roberto Di Maulo. Il conto è presto fatto. Melfi, che produce la Punto, lavora a due terzi delle potenzialità . A Pomigliano
la linea della Nuova Panda è molto al di sotto del previsto. A Cassino Giulietta, Delta e Bravo saturano per poco più della metà la potenzialità dell’impianto. Mirafiori produce la Mito, che è come utilizzare una portaerei per traghettare da Messina a Reggio Calabria. Nello
stabilimento torinese dovrebbe arrivare la produzione di due suv solo a fine 2013. Il problema è paradossalmente a Melfi, principale insediamento italiano del gruppo dove è stato deciso di rinviare la produzione dell’erede della Punto. E’ qui che Marchionne starebbe
cercando un nuovo partner per dividere le spese necessarie a varare l’architettura della nuova utilitaria. Un asiatico, non necessariamente la Mazda con cui la Fiat realizzerà la nuova Alfa Duetto in Giappone. Rinvio anche per l’erede della Bravo, realizzata a Cassino.
Qui è possibile che Marchionne cerchi piuttosto partner disposti ad affittare una parte della potenzialità produttiva.
L’ALLEATO AMERICANO
Parlando ad Austin, in Texas, Marchionne ha rassicurato nei
giorni scorsi che «non si investirà un dollaro di troppo in business non redditizi». Traduzione: cari americani, Fiat-Chrysler non sprecherà denaro per tentare di salvare gli insediamenti europei se si accorgesse che non sono redditizi. La strategia della saturazione degli impianti europei va varata in tempi brevi. Bisogna fare presto perché l’autunno si annuncia particolarmente difficile. E dopo l’autunno si porrà verosimilmente il problema della fusione con Chrysler. Che nelle attuali condizioni di debolezza della sponda italiana potrebbe davvero tradursi nell’«americanizzazione » della Fiat come preconizza in questi giorni
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