Egitto, tra i fedeli che si ribellano al golpe “Reagiremo, la presidenza sarà di Morsi”
IL CAIRO — I bravi fedeli hanno messo giù i tappeti anche per strada invadendo la Main Street di Giza, il centro urbano cresciuto attorno alle Piramidi e che è ormai inglobato dall’avanzare del Cairo, che ogni anno attira mezzo milione di nuovi abitanti e allarga i suoi
slumfatti di fango e sabbia dove la Fratellanza musulmana ha la sua base elettorale. La piccola moschea El Rahman non può ospitare tutti dentro, ogni venerdì la gente viene qui anche dai centri vicini perché il verbo del Sayyed Ali Ben Hassa è suadente come una musica per le loro orecchie. Un arabo morbido, dai toni pacati, che sa far breccia nel cuore del fedele. Il sermone non tocca temi squisitamente politici in un Paese scosso dagli eventi delle ultime 24 ore come lo scioglimento del Parlamento e la corsa alle presidenziali, ma è parallelo: verte sulla centralità dell’Islam nella vita sociale. I commenti su quel che sta succedendo in Egitto in questi giorni vengono fuori alla fine, quando i fedeli riavvolgono il tappeto da preghiera e si incamminano verso i caffè più vicini.
«Si era capito fin dalla sentenza contro Mubarak che le cose non stavano andando per il verso giusto », dice secco Nabil, che di mestiere fa l’ingegnere, «e lo scioglimento del Parlamento è stato un golpe, molto soft ma sempre un golpe. Ma reagiremo, vinceremo le presidenziali e anche quelle per la nuova Assemblea del popolo». Non ci sono dubbi nel popolo dei fedeli sulla certa elezione di Mohammed Morsi — il candidato della Fratellanza musulmana — alla presidenza. Nessuno parla delle aspettative o delle speranze nate da Piazza Tahrir, la libertà , la democrazia, il cambiamento. Quella rivoluzione — a cui peraltro la Confraternita aderì tardivamente
solo dopo la caduta di Mubarak — è stata lentamente sfiancata, erosa e alla fine soffocata dai Partiti e dalle Confraternite, adesso viene esibita come un feticcio ogni volta che torna comodo. Il movimento islamico adesso sostiene che «tutte le conquiste democratiche ottenute con la rivoluzione potrebbero essere spazzate via con la salita al potere di uno dei simboli dell’era precedente », Ahmad Shafiq, l’ultimo premier di Mubarak prima del crollo riammesso alla corsa presidenziale per il voto di oggi e domani.
Il massimalismo della Fratellanza, il velo alle donne, la Sharia in tribunale, le spiagge del Mar Rosso chiuse ai bagnanti in costume, il divieto di vendere alcolici, l’obbligo della preghiera negli uffici pubblici e altre imposizioni di stile integralista, hanno spaventato l’elettorato islamico moderato, i laici, la minoranza cristiana (10 milioni). Non ci sono sondaggi affidabili in Egitto — è ancora troppo “giovane” il voto libero — ma i consensi per Morsi scendono, al primo turno ha ottenuto quasi 5 milioni di voti, cioè metà di quelli che il suo partito ha aveva ricevuto solo 6 mesi prima alle legislative. Ahmad Shafiq invece vede i suoi consensi salire. Sicurezza, stabilità , progresso, ha ripetuto come un mantra per tutta la campagna elettorale, e nel caos istituzionale in cui si trova l’Egitto potrebbe essere un messaggio vincente. I giovani dei gruppi che hanno animato la rivolta contro Mubarak solo un anno fa, sono stanchi, delusi, divisi. Come se quella scintilla che li ha accesi e resi protagonisti della Storia si fosse persa adesso in buio cosmico. C’è chi sostiene Morsi come il Movimento del 6 aprile e chi Shafik come i Giovani della Rivoluzione.
Da oggi 52 milioni di egiziani vanno alle urne per scegliere il loro presidente tra un ingegnere religiosissimo e un ex generale dell’Aviazione. Finora tutti i presidenti egiziani — Gamal Abdel Nasser, Anwar Sadat e Hosni Mubarak — sono venuti dalle fila della Difesa. Al primo turno le elezioni sono state dominate dall’astensionismo e solo 13 milioni di schede sono state giudicate valide. Gli egiziani votano per un capo di Stato i cui poteri ancora non sono stati stabiliti, perché nella sua breve vita il Parlamento non è stato in grado di nominare un Assemblea Costituente che redigesse una nuova Carta dopo l’abolizione
di quella in vigore sotto Mubarak. Il presidente di norma giura davanti al Parlamento, ma l’Assemblea del popolo è stata sciolta giovedì dall’Alta Corte. È il caos istituzionale perfetto, nemmeno nei political thriller di Ahmed Mourad c’è un finale così incerto. I vincitori del voto saranno comunque i militari della Giunta, che hanno dimostrato in questa complessa partita una raffinatezza e un’astuzia politica che nessuno in Egitto gli attribuiva. Sciolto il Parlamento — ieri sera è stato sigillato dall’Esercito per impedire l’ingresso agli ormai ex-deputati — il potere legislativo è tornato nelle loro mani, il neo-presidente dovrà giurare davanti al maresciallo Mohammed Tantawi e ai suoi generali. «Da voi si chiama democrazia una roba così?», mi chiede senza giri di parole Ahmed Kamel, che fa un mestiere difficile in Egitto: l’avvocato della Lega per i diritti umani.
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