Rifugiati: negli insediamenti spontanei si vive “sotto i livelli minimi di salute”

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ROMA – Li chiamano “insediamenti spontanei” ma gli stanziamenti dove vivono i rifugiati nella grandi città  sono vere isole di emarginazione, che sorgono spesso a pochi metri da stazioni e centri commerciali. Se pur con livelli di gravità  diversi, in tutti questi insediamenti le condizioni abitative, infatti, “sono abbondantemente al di sotto di ogni standard minimo accettabile di salute e sicurezza”. La situazione più problematica è quella di Roma, dove si stima che negli insediamenti spontanei vivano complessivamente 1.200-1.500 persone. Lo dice lo studio realizzato dall’équipe del progetto “Mediazioni Metropolitane. Studio e sperimentazione di un modello di dialogo e intervento a favore dei richiedenti e titolari di protezione internazionale in situazione di marginalità ”, co-finanziato dal Fondo Europeo per i Rifugiati 2008-2013 e promosso dalla Crs-Caritas di Roma in partenariato con l’Associazione Centro Astalli di Roma, la Solidarietà  Caritas Onlus di Firenze e la Fondazione Caritas Ambrosiana di Milano. Durante l’indagine sono stati intervistati 520 richiedenti e titolari di protezione internazionale e sono stati svolti sopralluoghi e colloqui in 8 insediamenti spontanei a Roma, Milano e Firenze, realizzando la più esauriente ricerca sul fenomeno fra quelle fin qui svolte.

60 mila tra richiedenti asilo e rifugiati: mancanza di fiducia verso Stato. Secondo le fonti ufficiali (ultimi dati dell’Istat) al 1° gennaio 2011 erano presenti in Italia oltre 56.300 persone richiedenti o titolari di asilo o in possesso di protezione umanitaria. Sulla base dei dati provvisori forniti dalla  Commissione nazionale per il diritto di Asilo, però, si può stimare che a questa cifra vadano aggiunte almeno altre 4.500 persone che hanno ottenuto lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria e 5.562 a cui è stata riconosciuta la Protezione umanitaria nel corso del 2011. Il numero totale supera quindi le 60 mila unità . Dai colloqui effettuati nel corso di questa indagine, però, è emerso un diffuso e esplicito scetticismo rispetto alla possibilità  di trovare negli enti territoriali deputati una risposta ai loro bisogni. Più in generale, i rifugiati (oltre il 75% degli intervistati è titolare di protezione internazionale e l’11,3% ha ottenuto la protezione umanitaria) sembrano aver maturato una profonda mancanza di fiducia nei confronti di uno Stato che “commette ingiustizie” e non riesce a “garantire ai rifugiati gli stessi diritti che hanno negli altri paesi europei”. Questo atteggiamento è, secondo i ricercatori, allo stesso tempo “causa ed effetto dei fenomeni di esclusione e autoesclusione” e “non è purtroppo sorprendente, né del tutto immotivato”.

Posti disponibili “insufficienti”, l’88% non lavora e il 42% conosce poco l’italiano. Il sistema di accoglienza italiano, allo stato attuale – denuncia il report – “di fatto non garantisce un’adeguata accoglienza a tutti coloro che ne avrebbero diritto: troppo disomogenee sono le misure messe in campo, troppo episodici e parziali gli interventi per l’integrazione. I posti disponibili sono vistosamente insufficienti, la capacità  di finanziare percorsi individuali e mirati di sostegno all’integrazione è limitata rispetto alla domanda”. L’indagine sottolinea quindi che è necessario “fare di più, puntando soprattutto sulle misure che favoriscano l’inclusione lavorativa (oltre l’88% degli intervistati attualmente non è occupato) e la formazione (il 42% conosce troppo poco la lingua italiana). Ma più urgente è ristabilire un dialogo con queste persone, ricostruire il rapporto di fiducia indispensabile alla riuscita di qualunque percorso”.

Basta “emergenze”: necessario Sistema accoglienza nazionale per 30 mila persone. Dito puntato anche verso il ciclico ripetersi di “emergenze”, affrontate con la moltiplicazione di servizi di bassa soglia gestiti centralmente dallo Stato, che il più delle volte non hanno visto alcun coinvolgimenti degli Enti locali sul cui territorio le persone venivano dislocate. Secondo l’indagine, circa il 37% degli intervistati è arrivato in Italia con gli sbarchi del 2008 e oggi vive in un insediamento spontaneo, questo vuol dire che gli interventi subitanei e non concertati aumentano significativamente la probabilità  che il titolare di protezione internazionale “esca dai radar” dei percorsi di integrazione socio-economica. La recente “emergenza” del 2011-2012 legata agli esodi dal Nord Africa, pone, una situazione analoga a quella del 2008. Nel campione analizzato, la percentuale di persone entrate nel 2011 (anno in cui si è verificato un flusso eccezionale per effetto della “Primavera Araba”), risulta contenuta, poiché costoro sono ancora ospitati nelle strutture di accoglienza. Ma “la dispersione non governata di titolari di protezione internazionale non ancora in grado di inserirsi in piena autonomia sui territori rischia di tradursi in una concentrazione ulteriore di persone nei grandi centri urbani, negli insediamenti spontanei già  esistenti o in insediamenti nuovi” sottolinea la ricerca. 

Secondo i curatori della ricerca “le risposte messe in campo per superare la crisi degli arrivi dalla Libia costituiscono un’occasione per dotare l’Italia, finalmente, di un Sistema di accoglienza capace di risposte sufficienti per tutti quelli che richiedono protezione in Italia”. È fondamentale che i posti in accoglienza attivati grazie ai fondi del Dipartimento della Protezione Civile non vengano dismessi, ma contribuiscano a costituire, insieme ai progetti Sprar e a quelli delle città  metropolitane, un unico Sistema nazionale di accoglienza capace di ospitare 25-30.000 persone contemporaneamente. A questo andrebbe affiancato un sistema di monitoraggio nazionale dei percorsi sociali di tutti i richiedenti e titolari di protezione internazionale sul territorio, attraverso una banca dati che consenta il raccordo tra i diversi territori di accoglienza e minimizzi il rischio di assenza/duplicazione di interventi dovuti a mancanza di coerenza e consequenzialità  del percorso di ciascuno. “Una riforma decisa dell’intero sistema è un presupposto indispensabile per non svuotare di senso e di efficacia gli interventi che le singole amministrazioni locali sono chiamate a predisporre per rispondere alle emergenze che attualmente insistono sui loro territori”. (ec) (vedi lanci successivi)

 

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