Nemmeno la Cina compensa più le minori vendite in Europa

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Non è più solo l’Europa, afflitta dal debito e dalle drastiche ricette di austerità , a comprare meno made in Germany. Anche la Cina e altri paesi emergenti stanno frenando, e non compensano più le quote di esportazione che la Germania ha perso soprattutto nel sud dell’Europa.
Le borse flettono, non solo per le turbolenze in Grecia e Madrid e per le incertezze dell’Unione europea nel fronteggiarle. Pesa, e molto, la paura che la crisi possa mordere anche in Germania. Il 4 giugno il Dax, indice della borsa di Francoforte, è sceso per la prima volta da gennaio sotto i 6000 punti (a 5953), soglia sotto la quale gli azionisti diventano nervosi. Nei giorni seguenti il Dax ha oscillato incerto. Ieri a chiuso a 6.130, assai vicino alla soglia problematica.
L’agenza di rating Moody’s il 6 giugno ha declassato sei banche tedesche, la Commerzbank, le banche pubbliche regionali Lbbw, Helaba e NordLB, la società  Deka che gestisce fondi d’investimento per le casse di risparmio, e la filiale dell’italiana UniCredit. 
Quanto alle prospettive, pure il governo ormai si aspetta per il 2012 una striminzita crescita del Pil dello 0,7 per cento. Altrove va molto peggio, certo, ma anche i tedeschi cominciano a preoccuparsi. 
L’impressione è che si stia esaurendo quella speciale congiuntura – Sonderkonjunktur la chiamavano qui – per cui mentre tutti piangevano la Germania continuava a marciare. Record negativo della disoccupazione, sotto i tre milioni, certo consentito in gran parte da un’accresciuta offerta di lavori precari e mal pagati, ma inspiegabile senza tassi di crescita oltre il 3 per cento l’anno. Paradossalmente la crisi dell’euro, riducendo i prezzi in dollari delle esportazioni tedesche nel vasto mondo, le ha «sovvenzionate».
Ma se adesso pure la Cina frena, a chi vendere? Il 7 giugno la Banca nazionale cinese ha ritoccato al ribasso di 0,25 punti al 6,31 per cento il saggio a cui presta denaro alle banche, primo aggiustamento del genere da quattro anni a questa parte. A breve qualche operatore di borsa a Francoforte se ne sarà  rallegrato, contando su nuovi impulsi alla crescita cinese. Ma la maggior parte dei suoi colleghi interpreta piuttosto questa mossa come una conferma del peggioramento della congiuntura in Cina.
È questo cambiamento del clima economico, con la sua oggettiva forza di convincimento, a mettere sotto pressione la cancelliera Angela Merkel. Una pressione dei fatti, che potrà  rivelarsi più cogente degli appelli di Obama a allentare le redini del rigore finanziario. Appelli sinora inascoltati, sebbene vengano ormai ripetuti in coro da pressoché tutti gli altri capi di governo europei. 
Agli infausti presagi dell’econometria si aggiungono le batoste nelle elezioni regionali, ultima quella del 13 maggio in Nordreno-Vestfalia, dove la Cdu ha perso più di 8 punti, fermandosi al 26,3 per cento. Non è un’anomalia dovuta a fattori locali. Tutti i sondaggi su scala federale confermano che la coalizione di centro-destra tra democristiani e liberali ha perso la maggioranza dei consensi. Viaggia stabilmente attorno al 40%, sommando alla Cdu il 5% della Fdp: precario quoziente che alle politiche del 2013 potrebbe scivolare sotto la soglia di sbarramento.
L’8 giugno la cancelliera ha perso la pazienza con il piccolo alleato liberale, che si opponeva a marciare separati da Londra sulla via dell’imposta sulle transazioni finanziarie, e ha preferito accordarsi con la Spd su questo punto. I socialdemocratici sperano ora di poter strappare altre concessioni di rilievo sul «patto per la crescita», come contropartita al loro assenso alla ratifica del «patto fiscale». 
Si può discutere se dal punto di vista socialdemocratico sia sensato cercare di salvare insieme la capra del rigore e i cavoli della crescita: misteri della Spd. Ma non c’è dubbio che ora la cancelliera, usa a dire che crescita e rigore sono «due facce della stessa medaglia», debba da parte sua rimpolpare il lato della crescita.
Per convincersene torniamo a guardare le ultime statistiche sul commercio estero, pubblicate ieri. In confronto all’anno scorso, le imprese tedesche hanno venduto a aprile per 87 miliardi di euro, il 3,4% in più. Questa crescita su base annua risulta da una contrazione del 3,6% dell’export verso l’Europa, mentre al di fuori dell’Unione è continuato a crescere del 10,3%. 
Ma negli ultimi mesi la dimanica delle esportazioni extraeuropee si è andata fermando. Quest’anno la Cina avra il più basso tasso di crescita dal 1999. Anche il tasso di crescita indiano sta retrocedendo ai valori di nove anni fa. E così a aprile l’industria tedesca di esportazione ha segnalato un crollo del 3,6% nel portafoglio degli ordini.


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