Se Fornero non applica la sua stessa riforma sui rapporti a progetto

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Parliamo di Italia Lavoro, agenzia del ministero guidato da Fornero, diventata famosa già  sotto il governo Berlusconi per il caso della precaria insultata dall’allora ministro Renato Brunetta. Ebbene, se la riforma (approvata per ora solo al Senato) dispone regole più strette per i collaboratori a progetto, a Italia Lavoro invece si fa di tutto confermare i cocoprò nel loro stato di assoluta minorità , «travestendoli» da autonomi. 
Il ddl Fornero prevede infatti che non si possono inquadrare come cocoprò, i lavoratori che sono addetti a compiti che ripropongono meramente l’oggetto sociale delle imprese; inoltre, non devono svolgere lavori esecutivi e ripetitivi indicati come mansioni nei contratti, e infine i loro compensi dovranno fare riferimento ai minimi previsti dagli stessi contratti. Uno dei pochi «progressi», lo si deve dire, di una riforma per il resto molto contestata. Ma a Italia Lavoro, invece, cosa accade ai poveri cocoprò?
«Sta avvenendo esattamente il contrario di quanto prevede la riforma Fornero – spiega Roberto D’Andrea, del Nidil Cgil nazionale – Se nel ddl si inseriscono restrizioni, a Italia Lavoro invece si modificano, almeno sul piano formale, alcuni compiti e usi dei collaboratori, in modo da farne risaltare l’autonomia, mentre è evidente che nella sostanza restano di fatto subordinati. Di recente sono stati cambiati gli indirizzi mail, a dimostrare una “non fissità “, e al posto dei computer da tavolo sono stati forniti a tutti i portatili. Ma sfido la dirigenza a dimostrare che chi lavora ad esempio nei centri per l’impiego, e segue pratiche come la cassa integrazione, con procedure burocratiche precise e ben poca autonomia, sia un collaboratore genuino e non invece un subordinato».
Insomma, le regole imminenti (serve ancora il passaggio alla Camera) della ministra Fornero, vengono già  «sminate» dalle agenzie del suo ministero. E certo la storia non finisce qua. Il futuro di Italia Lavoro, infatti, continua a essere fonte di ansia per i 500-600 precari (tempi determinati e collaboratori) che non sono mai riusciti ad avere l’agognata stabilizzazione dopo anni di contrattini (e sono più numerosi dei dipendenti effettivi, fermi alla cifra di 450). A settembre, nell’ottica della spending review di marca montiana, dovrebbe arrivare a concretizzarsi la fusione con un istituto quasi gemello, l’Isfol, che a sua volta dà  lavoro a 350 dipendenti e 250 tempi determinati. Il timore è che nella «razionalizzazione», a saltare siano i più deboli, cioè gli oltre 800 precari complessivi. 
«È già  successo quando Berlusconi ha cancellato il piccolo Ipi: persero il posto 30 precari – spiega ancora D’Andrea – Ma c’è anche un lato positivo, perché qualcuno ha fatto causa e ha ottenuto il reintegro presso il ministero delle Attività  produttive. Oppure, altro esempio, è quello dell’Ice: hanno perso il lavoro 80 somministrati e 15 collaboratori. Per non parlare dei ben 2000 somministrati di Inps e Enpals». 
Cgil, Cisl e Uil hanno scritto 15 giorni fa alla ministra Fornero perché le convochi per parlare del futuro di Isfol e Italia Lavoro. Mentre l’Usb già  da quattro giorni occupa l’Isfol.


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