Ultima lettera dal Vietnam “Mamma, che sporca guerra”

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E finalmente Rambo divenne soltanto un inerme postino, perché c’è ancora posta per noi, dall’abisso del Vietnam. Ha impiegato 43 anni, la lettera alla madre del soldato Flaherty, spedita dal fronte dove lui fu ucciso nel 1969, per arrivare a destinazione ieri, nelle mani del ministro della Difesa Leon Panetta. Panetta l’ha ricevuta a Hanoi per conto di quella donna che non c’è più. Ma dopo quasi mezzo secolo, l’ultima cartolina dal massacro è indirizzata alla famiglia America, all’umanità , non più alla sola famiglia del sergente Steve Flaherty: «Questa è un sporca guerra crudele – scriveva – ma spero che voi a casa riusciate a capire perché la combattiamo».
Furono quelle due parole, dirty war, sporca guerra, a impigliare la lettera del soldato nella rete della propaganda e a impedirne il recapito. Quando Steve Flaherty e il suo plotone finirono nella trappola di un’imboscata dell’esercito regolare Nord Vietnamita nell’«Hamburger Hill», la collina della carne trita, i soldati di Hanoi frugarono nelle sue tasche e trovarono la lettera alla madre che aveva scritto la sera prima di essere lanciato dagli elicotteri. I commissari politici capirono che quelle sue parole avrebbero potuto avere un valore psicologico prezioso e la lettera del soldato venne ripetutamente letta e usata.
Una sporca tattica per combattere una guerra sporca. «Non riuscivamo neppure a recuperare i corpi dei compagni caduti e i nostri zaini, perché quando ci siamo ritirati, sono arrivati gli aerei e con le bombe e il napalm hanno incenerito tutto. Se ti chiama papà , digli che sono stato vicinissimo alla morte, ma sono scampato anche questa volta». Sarebbe stata l’ultima volta per il sergente Flaherty, da Columbia, South Carolina.
Di questa sua lettera mai arrivata, eppure letta più volte da Radio Hanoi e pubblicata sulla stampa simpatizzante nel mondo, non si era più saputo nulla fino allo scorso anno. Fu allora che un colonnello in pensione dell’esercito vietnamita ne fece menzione su un sito Internet dicendo di averla nelle proprie mani. Potenza della Rete, qualcuno al Pentagono notò questa menzione e cominciò un lavorio sotterraneo di contatti e di segnali per riaverla.
L’occasione sarebbe stata la visita ufficiale di Leon Panetta, il segretario alla Difesa nei primi giorni di questo giugno. L’esca sarebbe stato un quadernino con la copertina bordeaux che un soldato americano aveva trovato sul corpo di un nord-vietamita ucciso, un diario privato con la foto di una donna e qualche banconota del Nord comunista, conservato da un reduce intatto per 40 anni.
Lo scambio, fra Panetta e il collega vietnamita Phung Quang Tanh è avvenuto, infinitamente meno torvo del mercato degli emaciarti prigionieri di guerra americani restituiti dai campi di prigionia, sicuramente meno macabro delle scatole di ossa che ancora oggi Hanoi periodicamente consegna all’ambasciata americana per rovistare e stabilire se fra esse ci siano i resti di quei 1.277 “Mia”, dispersi ancora missing in action. Con il rischio di trovare, come accadde, anche ossa di cani e animali nelle scatole. Bastano le parole.
«Il nostro plotone era di 35 uomini e quando lo scontro è finito eravamo rimasti in 19. I soldati del Nva (l’esercito regolare del Nord) combattevano fino alla morte e quando ne era rimasto vivo uno solo non siamo riusciti a prenderlo prigioniero, perché si era imbottito di esplosivo e come ci siamo avvicinati a lui, si è fatto esplodere». Dalla fine formale della guerra, con la resa di fatto firmata da Kissinger a Parigi nel 1973, il destino delle migliaia di dispersi è stato un dramma umano, e ideologico, costante nella storia americana del dopo Vietnam.
Le organizzazioni spontanee dei reduci, raccolte sotto le bandiere nere del movimento per i “Pow-Mia”, prigionieri di guerra e dispersi, hanno marcato duro il Parlamento, nel sospetto, per loro la certezza, che ci fossero ancora piccole succursali segrete dell’infame “Hanoi Hilton”, il campo di concentramento principale nella capitale, commilitoni usati come merce di scambio. Avventurieri e sciacalli avevano organizzato, o finto di organizzare, incursioni in Laos e in Vietnam ma i soli risultati veri furono la germinazione di falsi eroi in Technicolor, i Sylvester Stallone, i Chuck Norris, con lieto fine hollywoodiano.
Quarant’anni dopo la fine ufficiale della guerra, e ormai venti anni dopo la definitiva normalizzazione voluta da Bill Clinton nel 1993, la fiamma di sdegno dei reduci è ormai brace stanca, come i vecchi che la attizzano, essendo chiaro che Hanoi non ha più alcun interesse a nascondere prigionieri o resti umani. Lo scambio fra la lettera del soldato Flaherty e il calepino del milite ignoto vietamita è tra le ultime, tenere manifestazioni di una guerra non più infinita. Tutto è cambiato. Portaci la posta, Rambo.


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